Possiamo chiamarla “resilienza familiare”, ed è quella capacità di fronteggiare e superare, insieme, le grandi difficoltà della vita. Attingendo anche all’educazione di ciascuno, alle credenze religiose e alle capacità di adattamento
Sempre più spesso oggi si parla di resilienza come capacità delle persone di affrontare sfide, traumi, eventi stressanti, recuperando un equilibrio e arricchendo il proprio percorso di vita. In questo processo il supporto della famiglia può essere determinante, perché le modalità del nucleo familiare di affrontare le crisi hanno ripercussioni importanti su ogni singolo membro che ne faccia parte.
«Il termine deriva dal latino resalio, che significa saltare, rimbalzare, e nella fisica dei materiali è usato per indicare la resistenza a una rottura dinamica – spiega a 50&Più Lucia Fiesoli, psicologa e psicoterapeuta familiare – ossia la proprietà con cui alcuni materiali conservano la propria struttura o riacquistano la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. In psicologia si riferisce alla capacità delle persone di riorganizzare la vita in maniera positiva di fronte alle difficoltà. La morte di una persona cara, la perdita del lavoro, una malattia, un fallimento lavorativo sono esperienze di vita che mettono a dura prova l’equilibrio psicologico di una persona e implicano conseguenze diverse: c’è chi è sopraffatto dalla sofferenza e chi riesce ad adattarsi alle intemperie della vita».
Si può parlare di resilienza familiare facendo riferimento a questa capacità nell’intero nucleo e non nel singolo individuo?
Con il termine resilienza familiare si intendono un insieme di strategie e processi di adattamento impiegati dalla famiglia intesa come unità funzionale. Per fronteggiare una crisi, è fondamentale la modalità con la quale la famiglia riesce a contenere i livelli di stress, tenendo conto delle risorse e non del deficit. Le famiglie con migliori strategie cooperative, flessibilità di funzioni e ruoli e bassa conflittualità manifestano un migliore adattamento e modesti livelli di stress.
Quali sono le risorse alle quali possono attingere i membri della famiglia?
Le risorse sono rappresentate da tutte le personali capacità, ma anche da oggetti, relazioni e servizi che facilitano l’auto-regolazione e l’etero-regolazione. Oltre alla rete familiare, pensiamo al supporto della rete sociale, e al ruolo delle proprie passioni (spirituali, artistiche, sportive). Sicuramente i comportamenti adattivi (coping) di una famiglia dipendono anche dal livello di resilienza di ciascun membro, da come la famiglia ha affrontato in passato altre difficoltà e dal sistema di credenze del nucleo familiare.
Se pensiamo alle famiglie monogenitoriali o agli anziani che vivono da soli, possiamo estendere il concetto di resilienza familiare anche alle relazioni amicali, di vicinato, pure se non si tratta di “famiglia” in senso stretto?
Certo, il concetto di resilienza deve essere considerato come relazionale, piuttosto che una qualità individuale: attraverso la relazione con l’altro, lo scambio sociale, la fiducia e la cooperazione, si moltiplicano le risorse.
Quanto incidono i modelli educativi ricevuti e le credenze religiose nello sviluppo della resilienza familiare? E quanto invece possono influenzare gli stereotipi nei quali siamo immersi (di genere, di ruolo)?
I sistemi di credenze incidono in modo considerevole sul modo in cui si affrontano le avversità, perché appartengono ai nostri vissuti e determinano le nostre risorse. È importante sviluppare e accogliere un punto di vista pervaso da ottimismo e fiducia nel poter superare le difficoltà, con la consapevolezza che subiremo grandi trasformazioni e cambiamenti e la capacità di accettare quello che non si può cambiare. Il locus of control, interno o esterno, determina il modo di valutare in maniera soggettiva i fattori a cui si attribuisce la causa di eventi, intesi come conseguenza delle nostre azioni o influenzati da cause esterne. Questa modalità dipende dal tipo di educazione che abbiamo ricevuto, dalla cultura familiare di appartenenza, dove sin da piccoli impariamo cosa è giusto e cosa è sbagliato, come si affrontano i problemi e cosa si fa quando le cose non vanno come ci aspettavamo. La religione offre un importante supporto interno, come nel processo di elaborazione del lutto, ma per alcune difficoltà rappresenta un grosso ostacolo, per esempio nei processi separativi: sancire una separazione permette di accettare l’irreversibilità del legame affettivo e andare avanti, ma se la credenza religiosa è solida e rigida può contribuire a mantenere tale disagio. Anche per quanto riguarda il genere, la rigidità dei ruoli connessi è un ostacolo a favorire l’adattamento necessario ad affrontare quelle situazioni che implicano un cambiamento. Ad esempio, dopo la perdita di una persona cara, i ruoli e le funzioni di chi è venuto a mancare dovranno essere sostituiti da altri membri, e questo richiede una vera revisione. La flessibilità è la qualità che ci permette di sopravvivere alle avversità trovando un senso nel cambiamento, come il granello di sabbia che infastidisce l’ostrica ma dal quale si genera la perla.
Come sostiene Froma Walsh, autrice de La resilienza familiare, esiste una tendenza a patologizzare le persone e le famiglie che vivono difficoltà quotidiane o hanno avuto esperienze drammatiche. Quali sono i rischi?
Sicuramente c’è la tendenza a etichettare le persone e le famiglie che hanno avuto, nel corso della vita, difficoltà importanti, come le persone che hanno subìto un torto, una violenza, un grosso dolore, come se un evento non previsto nel ciclo di vita diventasse qualcosa che disturba, perché attiva le paure personali (se fosse capitato a me?), ma che fa supporre che quella persona/famiglia sia segnata per sempre. Il rischio è di creare una situazione di stallo che impedisce a chi è coinvolto di reagire ed elaborare l’accaduto, per ripartire con una visione di sé e del mondo differente rispetto al passato.
Si può potenziare la resilienza familiare?
Si può con lo sviluppo di una modalità comunicativa chiara, che accolga il punto di vista di ogni membro, e con l’accoglimento dei bisogni affettivi, in modo da condividere i sentimenti e creare empatia reciproca. Bisogna poi evitare le colpevolizzazioni perché in famiglia si appartiene alla stessa squadra, non si è l’uno contro l’altro, tutti vincono o tutti perdono.
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