Dalla necessità di produrre, riducendo il nostro impatto sulle risorse naturali, è nata qualche anno fa l’idea dell’economia circolare: materiali e oggetti che possono essere riciclati e riutilizzati più e più volte. Oggi però parlare di economia circolare non è più sufficiente, è indispensabile andare oltre.
Si tratta di un’economia più innovativa che usa risorse biologiche rinnovabili provenienti dalla terra e dal mare, per la produzione industriale, energetica e alimentare, sostituendo così prodotti chimici più nocivi: un promettente paradigma per evitare sprechi e valorizzare gli scarti.
Di bioeconomia circolare si parla in tutti i piani europei per l’ambiente, dal “Green Deal” a “Horizon 2020”; si tratta di un tassello fondamentale degli indirizzi economici europei e un’opportunità per superare il modello lineare di sviluppo, per porre rimedio al riscaldamento climatico e al degrado ambientale.
Un esempio concreto? I sacchetti di bioplastica, in futuro si tenderà a produrre sempre di più plastica biodegradabile e compostabile.
Ma non solo. Un esempio è dato dall’utilizzo degli agrumi nella produzione dei succhi di frutta, il cui scarto di bucce e semi può finire in un digestore per la produzione di biogas ma, meglio ancora, essere recuperato per la produzione di fibre nobili e creare nuovi prodotti alimentari ad alto valore aggiunto.
Anche il settore tessile sta ripensando il proprio modo di produrre. Come richiedono le direttive europee sull’economia circolare, infatti, la raccolta differenziata dei rifiuti tessili diventerà obbligatoria entro il 2025, ma in Italia sarà operativa già a partire dall’1 gennaio 2022.
Ogni anno buttiamo quasi 34 kg di vestiti e l’85% finisce nelle discariche o nell’inceneritore, quando non può essere affidato alla filiera delle donazioni riservata a chi ha più bisogno.
Acqua, tinte chimiche, produzione, manodopera a basso costo: tutto il circuito che occorre per produrre abiti dalla vita sempre più breve non è più sostenibile per il pianeta.
Con gli imballaggi non va meglio: ogni anno si aggiungono 73 chilogrammi di plastica, di cui il 60% finisce in discarica o in mare. Perché non unire entrambi i problemi in un’unica soluzione?
Una start up di Vicenza ha pensato di recuperare i vecchi abiti per trasformarli in confezioni e imballaggi biodegradabili che si possono buttare addirittura nell’umido. E niente più plastica a inquinare i nostri mari!
Dunque, si tratta di produrre di più con meno, creare nuovi materiali da fonti rinnovabili, contrastando l’inquinamento di intere aree e utilizzando gli scarti di un’attività economica per produrre nuova ricchezza.
A confermarlo sono i dati relativi al giro d’affari che ruota attorno a questo settore: con 345 miliardi di euro di fatturato annuo e 2 milioni di dipendenti (dati 2018), la bioeconomia italiana è la terza in Europa, dopo la Germania e la Francia.
Ripensare profondamente le filiere produttive, a partire dal tipo di materiali consumati, significa anche tutelare un bene primario come il suolo. Secondo l’IPCC, l’organismo scientifico delle Nazioni Unite che studia il cambiamento climatico, in media, nel decennio 2007-2016, attività come agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo sono state responsabili ogni anno dell’emissione netta di circa 12 miliardi di tonnellate di CO2, circa un quarto dei gas serra globali. Al contrario, la difesa del suolo, delle foreste, delle risorse marine sono profili strutturali nello sviluppo di una bioeconomia sostenibile. Del resto, se guardiamo ai comparti che più contribuiscono al valore economico e occupazionale della bioeconomia, troviamo l’industria alimentare, delle bevande e quello della produzione primaria (agricoltura, silvicoltura e pesca). Tutti settori che hanno una significativa impronta ambientale e che è decisivo reindirizzare prima possibile nel binario della sostenibilità. Un passaggio strategico di quella che chiamiamo transizione ecologica.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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