Innovazione e capacità di creare sono elementi fondamentali oggi nel mondo del lavoro per rinnovarsi e crescere. La trasformazione suscitata dall’introduzione della novità porta a risolvere problemi e migliorare processi e prodotti. Ne abbiamo parlato con Renato Pisanti, professore di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni
La creatività attraversa anche i luoghi di lavoro e le capacità professionali di ciascuno ma, con la pandemia e la riorganizzazione aziendale che ne è seguita, altri elementi e fattori di stress si sono aggiunti alla vita lavorativa di tanti e in molti settori. «Dal primo lockdown in poi, le persone si sono scoperte desiderose di sostegno sociale – spiega a 50&Più Renato Pisanti, professore di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, che ha recentemente presentato l’indagine “Benessere e qualità della vita lavorativa ai tempi del Covid-19” -, si cercano le relazioni, non solo dal punto di vista emotivo ma anche informativo, per confrontarsi e affrontare la situazione con gli altri».
Quali elementi sono emersi dall’indagine?
Oltre alla dimensione della necessità di supporto sociale, abbiamo indagato la capacità degli individui di staccare la spina e quella di gestire il lavoro da remoto. Ne è emerso che le persone che avevano già raggiunto una maturità nel corso della propria carriera professionale sono state in grado di fronteggiare al meglio la situazione, mentre i giovani e anche chi era alla fine del percorso lavorativo, hanno avuto più difficoltà, e questo indipendentemente dal genere. In particolare gli over 55, se da un lato non hanno avuto le stesse difficoltà legate al precariato dei colleghi delle fasce di età più basse, hanno dovuto implementare la capacità di supervisione da remoto, molto più difficile che in presenza, se il ruolo lo richiedeva. E poi bisogna tenere conto che sono saltate le tradizionali barriere fra vita lavorativa e familiare, e ci si è trovati a gestire, a volte con creatività, due dinamiche normalmente separate l’una dall’altra.
Quanto influisce la creatività personale sulla qualità della vita lavorativa?
Se per creatività intendiamo la capacità di cambiare le condizioni lavorative e anche il prodotto del nostro lavoro, ossia quello che si va a fare, è un elemento connesso con la performance non solo dell’individuo ma del gruppo. Un esempio in merito ci viene da un imprenditore che ha fatto della creatività dei dipendenti la base del suo successo aziendale: Zhang Ruimin, l’amministratore delegato e fondatore di Haier, azienda leader nel settore degli elettrodomestici, ha puntato sulla creatività dei singoli e di piccoli gruppi che curano le fasi di ideazione, progettazione e sviluppo del singolo prodotto. Il suo modello funziona benissimo perché la creatività, intesa come capacità di aggiungere qualcosa di personale, ha una risposta positiva sulla produttività. Dobbiamo però considerare anche le differenze fra individui, perché non tutti sono interessati a mettere creatività sul posto di lavoro, ma mantengono un rapporto con il loro impiego di carattere più strumentale. Lo psicologo americano Frederick Herzberg ha realizzato un lavoro nel quale ha diviso gli individui in due categorie, fra quelli che cercano la soddisfazione lavorativa, con opportunità per sviluppare il proprio estro e la propria creatività, e coloro che si accontentano di un impiego che garantisca un compenso e condizioni degne ma senza andare oltre. Naturalmente un’azienda dovrebbe puntare sulla prima categoria, in termini di investimento di risorse e formazione. Purtroppo, nella mia carriera di insegnante, ho visto negli ultimi tempi molti giovani disillusi nei confronti del mondo del lavoro, preoccupati della precarietà che li aspetta, e per questo meno inclini a puntare al proprio sogno, ma più portati a restare con i piedi per terra.
Negli ultimi anni tante aziende hanno sviluppato servizi di welfare per stimolare i propri lavoratori, come palestre, sale relax, asili nido: è un modello che funziona?
Su questo fronte in Italia siamo indietro rispetto ad altri Paesi europei, ma è giusto che questi modelli siano implementati perché il welfare sul lavoro è fondamentale per il benessere dei lavoratori. Mentre noi scontiamo ancora un modello che fa leva prevalentemente sulle famiglie come risorsa di welfare. Certamente realizzare sistemi di rete sociale da remoto è più difficile, ma ci avviamo verso una fase dove le attività in smart working torneranno a convivere con quelle in presenza.
C’è un legame fra capacità creativa e imprenditorialità?
Abbiamo vari esempi “creativi” fra gli imprenditori contemporanei a livello mondiale – pensiamo a Steve Jobs – ma anche italiani. In generale, l’imprenditore che riesce nel proprio lavoro coinvolgendo anche decine di altre persone ha qualcosa di diverso dagli altri: un’intelligenza analitica con alte capacità di processare un gran numero di informazioni, ma anche emotiva, per la gestione delle relazioni interpersonali. Un’altra forma di intelligenza che deve possedere è quella intuitiva, che si traduce con la capacità di vedere le opportunità. L’imprenditorialità è connessa alla creatività in senso ampio, che deve essere accompagnata da qualità di leadership e capacità motivazionali.
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