Pasqualino Fadda. Pensionato della pubblica amministrazione. Partecipa al Concorso 50&Più da alcuni anni; nel 2008 e 2010 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa e nel 2011 ha vinto la Farfalla d’oro sempre per la prosa. Vive a Oristano.
La Giara è un altopiano basaltico alto circa 700 metri sul livello del mare situato nella zona centro meridionale della Sardegna, esposto d’inverno ai venti impetuosi di maestrale e di tramontana, d’estate a quelli torridi di scirocco mentre in autunno e in primavera ai venti umidi di libeccio portatori di abbondanti piogge ristoratrici.
La vegetazione costituita da sugherete secolari, alberi originari inframezzati da pascoli e da un intricato sottobosco simile ad una brughiera, disseminata di arbusti e piante della macchia mediterranea, soprattutto mirti, lentischi, corbezzoli, erica e rosmarini e da una immensa distesa di ginestre che si specchiano sui cigli di numerosi “paulis”, ristagni d’acqua che in autunno e in primavera si riempiono dandogli l’apparenza di laghetti di alta montagna.
Peculiare è l’inclinazione delle sughere con i loro fusti rugosi rassomiglianti a vegliardi centenari, plasmate dal maestrale che spira perennemente da occidente modellandole in forme bizzarre e facendole apparire al visitatore come figure di esseri fantastici e irreali.
In primavera i Paulis si ricoprono di ranuncoli acquatici, considerati “habitat prioritari” mentre la macchia mediterranea esplode in una miriade di colori che richiamano una infinità di api che col loro ronzio e il mormorio del vento fanno da sottofondo al canto degli uccelli che solitari e indisturbati si deliziano in quell’angolo di essenza ancestrale.
Con la sua quota benché non molto elevata si erge in un paesaggio di verdi colline che la circondano e si delizia di sterminati panorami che a nord vede il massiccio del Gennargentu, a est l’austera mole di Perda Liana , a sud lo sguardo spazia fino al golfo di Cagliari nelle cui acque si specchia la sella del diavolo; ad occidente la mole di Arcu Entu, un monte dalle sembianze antropomorfe che pare incarnare i lineamenti di un bellissimo giovane che nutra per lei un segreto sentimento d’amore che dura da millenni.
Ospite generosa di tutte le specie vegetali e animali che pacificamente godono delle lussureggianti giornate di primavera e della frescura delle sue piante nelle torride estati sarde. Convive sfidando la tempesta, imperturbabile al fragore del temporale;
si culla nelle notti di luglio al chiarore delle stelle e della Via Lattea che, come una nuvola di minuscoli atomi d’argento, sembrano avviluppare la natura.
Sull’altopiano oltre alle numerose greggi e armenti, vive una popolazione di cavallini selvaggi ultimi esemplari in Europa, composti da numerosi branchi, le cui caratteristiche sono le dimensioni molto contenute, i maschi hanno un’altezza al garrese di 125 -135 cm, le femmine 115 – 130. Il mantello originario era color bruno scuro, attualmente i colori prevalenti sono il morello e il baio, ma sono presenti anche individui sauri; non infrequenti sono inoltre le balzane i cui segni sulla fronte sono distintivi inequivocabili di mescolanza tra razze diverse verificatesi nel tempo.
Caratteristiche del “giarino” sono anche la criniera e la coda molto lunghe e folte e gli occhi di forma leggermente a mandorla. La testa di adeguate dimensioni, con la fronte ricoperta da un lungo ciuffo che ne delinea la sua maestosità.
Il silenzio è la caratteristica di questo luogo pietroso e incantato che lascia il visitatore stupefatto come se entrasse in una dimensione primitiva dove la flora e la fauna sono rimaste immutate dalle ere geologiche più lontane.
In questi momenti cupi, questo quadro di bellezza e di tranquillità, forse è un’immagine che stride; ma spero sia un richiamo, una esortazione a pensare che il sereno tornerà sempre a quietare le umane miserie, la sete di potere che non troviamo solo nelle guerre, ma quotidianamente nei rancori, nei lividi veleni di cui solo l’uomo è capace generare in ogni sua propria, piccola o grande realtà.
È legittimo condannare la guerra, ma è pur vero che ognuno di noi, nella vita ha portato, almeno una volta, nel proprio piccolo, quel bagaglio maligno carico di acrimonia, di ira, di male.
Pretendiamo dunque la pace che presto si diffonda in Europa e in tutto il mondo ma ognuno abbia la capacità di liberarsi da quei truci fardelli che giorno dopo giorno, per tanti crescono, lievitano in un continuo inarrestabile accrescimento quasi fossimo destinati all’eternità?
Dimentico del suo inesorabile destino dal quale per fortuna la giustizia divina nessuno può risparmiare, il genere umano continua a calpestare tutte le leggi dell’amore e del rispetto delle cose.
Lo so! Forse sono parole al vento, quel vento che solletica le chiome delle piante antiche e le fluenti criniere dei cavallini della Giara che bellissimi e rassicuranti nel loro mondo selvaggio vivono in simbiosi con la natura che ben conoscono da sempre e di cui si fidano come di una mamma attenta e premurosa, scevri da ogni azione che ne possa turbare la tranquillità.
Di recente o fatto un viaggio lontano dalla mia Sardegna e al mio rientro l’aereo ormai in fase di avvicinamento all’atterraggio, ha sorvolato l’altopiano che dall’alto appariva come un immenso tappeto dai colori variopinti, con i suoi laghetti blu che sembravano occhi bellissimi di fanciulle.
Ho pensato e li ho rassomigliati agli occhi di ragazze ucraine e di altre parti martoriate del mondo che rivolte ai potenti sembravano implorare la pace.
La pace che oramai sembra una parola dimenticata o che non si usi più e pare che coloro che hanno in mano le sorti del mondo trovino più gradito alle loro orecchie il fragore della guerra e della distruzione.
Nella mia vita sono stato fortunato ed anche se ho dovuto affrontare momenti difficili di disagio e di sacrificio, non ho conosciuto la guerra se non nei libri di storia e nei racconti dolorosi degli anziani che l’anno vissuta.
Oggi confido vivamente nella speranza che le guerre finiscano e che nel cuore del genere umano trionfino sentimenti di giustizia, tolleranza e la solidarietà.