Pasqualino Fadda.
Pensionato della pubblica amministrazione. Partecipa al Concorso 50&Più da alcuni anni; nel 2008 e 2010 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa e nel 2011 ha vinto la Farfalla d’oro sempre per la prosa. Vive a Oristano.
Mio nonno possedeva un’asina femmina che aveva partorito un puledrino maschio, sembrava un batuffolo di seta morbida, dolce con gli occhi grandi e buoni , mi ci sono affezionato subito e non ricordo nemmeno il perché lo chiamai Piccone, tutti giorni lo coccolavo come se fosse un bambino. Nonno visto con quanto affetto lo trattavo, un dì mi disse: “Prendilo se vuoi, è tuo!”.
Da quel giorno e per tutta la mia adolescenza, Piccone è stato un amico fedele , conoscevo il suo ragliare fra mille altri, quando lo chiamavo lui mi seguiva come un cagnolino, a sette mesi lo cavalcavo a pelo sulle aie e facevamo gare di corsa con altri compagni; Era agile e scattante e seppur di piccola taglia era veloce e instancabile. Un anno però per l’ardia di San Giovanni, manifestazione contadina che si correva a Flussio il 31 agosto, mi giocò un brutto tiro facendomi perdere la corsa. Nonostante questo gli volevo bene e lo perdonai.
Parteciparono a “s’ardia de sos ainos” il palio degli asini quasi tutti i giovani del pese, la maggior parte con asinelli di razza sarda, c’erano certi però che cavalcavano asini di taglia più grande dei nostri e si pavoneggiavano dall’alto della loro cavalcatura convinti di avere partita vinta.
La corsa si svolgeva in una strada campestre bianca e polverosa che dal limite di un passaggio a livello delle Ferrovie Complementari Sarde, si snodava verso il paese rasentando la nostra casa e il nostro cortile dove si accedeva attraverso un antico portale di legno ad arco e proseguiva 50 metri metri più avanti ove era posto il traguardo finale.
Per cercare di contrastare gli asini di razza “ incrociata”, così chiamavamo gli animali di taglia più grande, mi allenai tutto il mese percorrendo strade sconnesse, discese e salite impervie tanto che alla fine Piccone era agile e veloce come un capriolo.
Il 31 agosto al paese si festeggiava San Giovanni Battista, al mattino c’erano i riti religiosi mentre nel tardo pomeriggio quasi tutti i paesani assistevano alle varie gare che comprendevano anche altre specialità come la corsa nei sacchi, gara di lotta “sas istrampadas”, il tiro alla fune nonché la corsa degli asini che era il clou della festa. Al via dell’ardia dato in genere dal priore che rivestiva una carica quasi sacra, si avvantaggiarono proprio gli asini forestieri, ma il mio Piccone che cavalcavo a pelo seguiva da vicino; tutt’intorno si alzò una nuvola di polvere bianca e i concorrenti scomparimmo alla vista, come inghiottiti da un turbine di sabbia nel deserto. A circa duecento metri dal traguardo ci lasciammo alle spalle quella bufera di pulviscolo in quanto i paesani all’inizio dell’abitato avevano irrorato d’acqua la strada polverosa. Il mio Piccone galoppava come un destriero e precedevamo tutti gli altri con un vantaggio considerevole. Il cuore mi batteva forte e pensai:-“ E’ fatta, abbiamo vinto!”. Ma non avevo fatto i conti col suo istinto ed appena arrivato in direzione del nostro portale svincolò improvvisamente a destra tanto che per puro miracolo sono riuscito stare in groppa ed entrò come un saetta nel cortile, sua abituale dimora.
Io cercavo di spronarlo, mio fratello e altri amici lo spingevano fuori per guadagnare la meta che era a soli 50 metri più avanti ma purtroppo lui era già arrivato al suo naturale traguardo, il suo loggiato e non ci fu verso di fargli riprendere la corsa.
E’ stata una situazione fuori programma, molto divertente per tutti gli spettatori ma per me la delusione fu grande, attenuata per fortuna dalla decisione del comitato dei festeggiamenti che riconobbe un premio anche a me con grande apprezzamento di tutti gli spettatori.
Dai primissimi anni ’60 tutto è cambiato, la grande emigrazione svuotò il paese dei giovani , il ritmo sonnolento della vita rurale, legato al trascorrere delle stagioni si è dissolto come la nebbia al vento, le campagne fino ad allora coltivate fino all’ultimo fazzoletto di terra sono state abbandonate. Il modo di vivere sotto la spinta del cosiddetto pregresso è cambiato radicalmente. I giovani tornavano al paese solo per le ferie estive, non palavano più dei loro animali si esprimevano in un italiano con le inflessioni delle regioni del nord, pareva che quasi rinnegassero persino l’armonia della nostra lingua, come se quel trascorso fosse un periodo che non faceva più parte di loro, anzi pareva che sentissero quasi una sorta di vergogna di un passato antiquato da dimenticare.
Gli asini e i cavalli sono stati venduti ai commercianti che si diceva li destinassero alle mortadelle di Bologna; li ricordo bene questi signori forestieri, vestiti in modo elegante coi cappelli a falda larga, venivano con i loro camion dove caricavano con modi arcigni quelle povere bestie che guardavano per l’ultima volta con i grandi occhi tristi, dove si vedevano riflesse le povere e piccole case grige di basalto dall’architettura mediterranea con gli ampi cortili e i caldi loggiati dove per anni erano vissuti fianco a fianco con i loro amorevoli padroni ed ora venivano strappati con durezza verso un destino crudele e mai più avrebbero rivisto quei luoghi.
Io non vendetti il mio Piccone , dopo la mia partenza, mio padre lo lasciò libero in un nostro campo recintato dove visse ancora per molti anni e se ne andò dopo una lunga e tranquilla vecchiaia.
Non l’ho mai dimenticato ancora oggi a distanza di sessant’anni mi sogno di cavalcarlo a pelo nelle dolci primavere lussureggianti o nelle sterminate lande bruciate dal sole estivo della nostra isola e nell’illusione onirica rivivo i dolci momenti di una fanciullezza felice di quel mondo semplice e genuino ormai perduto.
Oggi vivo in campagna e da qualche anno in un podere confinante al mio, il proprietario ha comprato un asinello, quando l’ho visto mi è venuta una palpitazione incredibile, era identico al mio Piccone, mi avvicinai e gli cinsi il collo con un braccio, gli sussurrai all’orecchio: “Tu sei il mio Piccone, Sei ritornato?”. Sventolò le grandi orecchie, mi guardò negli occhi e mi parve di vedere riflesso il mondo di quegli anni lontani, solo io mi vedevo invecchiato, provai però una gioia antica. Lo chiamai Piccone, i primi giorni gli falciai un po’ di erba che sapevo gradita dal vecchio amico , mia moglie gli raccolse dal nostro frutteto alcune mele che frantumò con gusto con i suoi denti poderosi.
Si è affezionato subito a noi , ogni giorno si avvicina al nostro confine e ci chiama a volte quando ci vede lontano con il solito raglio mentre quando siamo vicini, con una specie di nitrito. quasi un richiamo confidenziale. Quando ci assentiamo. al nostro ritorno corre per farsi accarezzare e per gustare le mele e le pere del giardino.