Mariuccia Faccini. Lavora come consulente del lavoro ed è amante della poesia. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Vive a Sant’Angelo di Piove (Pd).
Al ritorno da scuola Olga si fermava sempre ai piedi del noce, maestoso e forte. Lo abbracciava. Non riusciva a unire le mani tale era la circonferenza, ma si stringeva ugualmente a esso. Appoggiava il viso sulla corteccia grigio scura e si sentiva rassicurata. Raccontava le sue disavventure, i suoi sogni, le sue paure e soprattutto che veniva soprannominata “luanfante”. Molto più dispregiativo di elefante. Un giorno mentre stava giocando, i compagni cominciarono a prenderla in giro pesantemente e sghignazzando:
“Corri “luanfante”. “Girati luanfante”. “Sbrigati luanfante”. “Luanfante vieni qua”. Ridevano a crepapelle e Olga si girò e scappò via.
Olga corse dal noce e versò tutte le sue lacrime tanto che i suoi occhi divennero cielo limpido e azzurro.
“Vorrei essere una libellula rossa e blu, leggera, elegante e con un corpo esile. Tanto esile”.
E fu così che divenne libellula. Le sue ali, trasparenti e lunghe e con una macchia colorata sul bordo anteriore, disposte in due coppie, battevano velocemente. E con un battito d’ala si ritrovava a volare in alto con un corpo esile ed elegante. Tornata a casa, la sedia era troppo grande per lei, ne vedeva i bordi, le gambe. Nel risotto alle erbe vedeva le mani della mamma mentre lo mantecava e si muovevano al suono di una mazurca con movimenti accentuati e poi un colpo di tacco ne annunciava la fine della cottura. Fumeggiando, goccioline gassose piroettavano felici. La biancheria lavata e stirata riportava agli occhi le carezze della mamma. Mani fatate erano per lei. Mani da stringere forte al cuore.
Il papà la chiamava regina, amava dipingere e la voleva ritrarre.
Non posso rifiutarmi, si disse Olga.
“Mettiti immobile sopra quel ramo di fiori. Girati un pochino verso la luce in modo che si accentuino i tuoi colori sfavillanti”.
“Sono stanca, voglio muovermi”. Era ferma ma voleva il suo noce. “Non mi sono trasformata per essere ritratta e starmene immobile”.
Il papà cercava di catturare l’intero panorama delle sue emozioni e per questo impiegava molto tempo.
“Non riesco a cogliere l’essenza”, diceva il papà pittore.
Olga alzò le ali, le dispiegò. Esse erano in grado di rilevare qualcosa che stava accadendo prima che il corpo iniziasse ad avere una vibrazione.
“Questa è un’ottima posizione per la necessaria pennellata sensoriale”, disse il papà.
Il ritratto era finalmente ultimato: un cielo azzurrissimo, oltremare, che sembrava confondersi con l’acqua della fontana, uno sfolgorio di petali disseminati in uno spazio percorso da un vento rigeneratore facevano lievitare la figura della libellula.
Sui rami del suo noce finalmente Olga si sentiva magica, capace di esporsi alla luce e di trovare la propria danza come faceva la mamma.