Il report “European Dementia Monitor 2020” realizzato da Alzheimer Europe ci da un’idea dell’approccio alla malattia nel nostro Paese. In Italia, infatti, migliora l’impegno per gli aspetti legali e la ricerca sulla malattia, mentre assistenza e cura restano principalmente sulle spalle delle famiglie.
Migliora la posizione dell’Italia nella tutela dei malati di Alzheimer. A segnalarlo, il rapporto “European Dementia Monitor 2020” realizzato da Alzheimer Europe, rete di associazioni attive nella difesa dei malati di demenza. A farne parte anche le italiane Alzheimer Uniti Onlus e Federazione Alzheimer Italia. Il report ha preso in esame gli strumenti e le politiche nazionali di 36 paesi, soffermandosi su quattro aspetti chiave: assistenza, medicina e ricerca, politiche sociali, diritti umani e aspetti legali. Obiettivo: esaminare come i paesi stanno rispondendo ai bisogni di una fascia di popolazione che, nel 2050, raddoppierà da 9,8 a 18,8 milioni di persone in Europa. Un fenomeno che va di pari passo con l’invecchiamento della popolazione.
Un’Europa a troppe velocità
Dalla Svezia alla Bulgaria, passa un mondo. Fatto di investimenti nella cura e nel sostegno di chi convive con la malattia. Ma anche di disattenzione verso le categorie più fragili della nostra società. Se infatti Svezia (punteggio 71.8 su 100), Scozia (70.9) e Inghilterra (68.4) si collocano ai primi posti per politiche dementia-friendly, Bulgaria (19.5) e Polonia (22.8) sono fanalini di coda. Emblema delle significative differenze fra i paesi del Nord e del Centro Europa e quelli del Sud nei quali i punteggi raggiunti sono, nella maggior parte dei casi, inferiori alla media.
Investimenti sociali scarsi e squilibrati
Gli squilibri fra le diverse aree del Vecchio Continente sono confermati dalla spesa in politiche per l’Alzheimer. Nel Nord Europa è infatti 8 volte superiore a quella dell’Europa dell’Est. Più in generale, dallo “European Dementia Monitor 2020” emerge una scarsa attenzione economica al problema. Nel 2008, il costo totale della malattia nei 27 paesi UE è stato stimato in 160 miliardi di euro, di cui il 56% sotto forma di cure “informali” di familiari e caregiver. Ogni persona affetta da demenza “costa” dunque appena 22mila euro all’anno grazie al paracadute sociale della famiglia.
Cosa succede in Italia
L’Italia si colloca al 10° posto con un punteggio di 62.8, in aumento di circa 10 punti rispetto all’ultimo rapporto del 2017. In quell’anno, infatti, il nostro Paese si collocava in quindicesima posizione. Un miglioramento che lascia ben sperare, anche se c’è ancora molto da fare. Il nostro Paese fa parte del gruppo in cui il 50% o più dei servizi per i malati è auto-finanziato, quindi a carico delle famiglie. Anche l’accessibilità e disponibilità di servizi di cura e assistenza è ancora carente. Soddisfacente, invece, l’impegno a livello legale, per rendere le persone con demenza consapevoli dei propri diritti e garantire che possano esercitarli, ad esempio attraverso il voto. Il nostro Paese è promosso a pieni voti anche per la partecipazione ad iniziative di ricerca scientifica.
La strada è ancora lunga
«La strada da percorrere è ancora lunga e, come molti altri, il nostro Paese è ancora carente nel garantire servizi di assistenza adeguati e accessibili alle persone con demenza» dichiara Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia, su vita.it. «Confidiamo che il recente finanziamento del Piano Demenze possa portare un miglioramento anche in queste aree, come nella ricerca. Come Federazione Alzheimer Italia – sottolinea – siamo certi che i passi in avanti siano il risultato dell’incessante impegno degli operatori e delle associazioni che a vario titolo si occupano di demenze e quindi continueremo la nostra attività di advocacy presso le istituzioni».
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