L’attività digitale garantisce agli anziani una forma di inclusione, sia culturale sia economica, che contribuisce a prevenire il loro isolamento sociale
La diffusione delle tecnologie digitali e l’aumento dei dati che più o meno consapevolmente ogni utente rilascia in rete, pone una questione etica nella gestione di queste informazioni potenzialmente infinite, e che riguardano tutti i campi della vita dell’individuo. Privacy, inclusione e accesso diffuso sono solo alcuni dei temi che rientrano in questa riflessione. Li abbiamo affrontati con Laura Palazzani, ordinario di Filosofia del diritto all’Università Lumsa e vice presidente vicario del Comitato Nazionale per la Bioetica.
Professoressa Palazzani, nel saggio Etica nella gestione dei dati digitali e persone anziane incluso nel volume “Ipotesi per il futuro degli anziani. Tecnologie per l’autonomia, la salute e le connessioni sociali” fa riferimento al concetto di “dataismo”. Di cosa si tratta e quali sono i rischi legati all’immagazzinamento digitale dei dati?
Il “dataismo” è un fenomeno che attiene alla “nuova ondata tecnologica” che sta avvolgendo in modo dirompente l’uomo e la società. Tende a ridurre gli esseri viventi a flusso incessante di dati o “infosfera”. “Big data” è un’espressione che si sta sempre più diffondendo nel contesto del rapidissimo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, della comunicazione (ICT) e dell’informatica. Indica l’enorme quantità di dati che possono essere raccolti in modo sempre più rapido, che riguardano le informazioni anagrafiche, personali e sociali, ma anche le abitudini di vita, le preferenze, le convinzioni, l’appartenenza politico-ideologica, gli stati emotivi, gli atteggiamenti, le attitudini. Le caratteristiche dei dati raccolti sono riassunte dalle “4V”. Volume (ossia quantità elevata), Velocità (rapidità nella raccolta), Varietà (diversità delle fonti), Veracità (problema dell’autenticità dei dati).
Da consenso informato a consenso informatico: quali sono i dati rilasciati in rete con maggiore facilità e quali i più “appetibili” per la profilazione dell’utente? La risposta alla richiesta di consenso al trattamento dei dati è davvero consapevole?
Si inizia a parlare di consenso “informatico” che dovrà essere necessariamente ampio, flessibile, dinamico, con caratteristiche ben diverse dal consenso informato “classico”, usato nella biomedicina, ossia ristretto, specifico e dettagliato. Il consenso informatico diviene una sorta di “presa di coscienza” della raccolta dei dati, della difficoltà dell’anonimato (e della possibilità sempre aperta dell’identificazione, per quanto si possa usare la codificazione dei dati), delle incertezze sui luoghi e sui tempi della conservazione dei dati, dell’impossibilità di garantire sicurezza e confidenzialità sempre e in ogni circostanza, della possibilità di abusi di dati.
Una presa d’atto che serve a rendere consapevole l’utente digitale dei possibili rischi della “dazione” dei dati, specie in ambito sanitario. Ma anche delle assicurazioni e del lavoro. Non sempre i cittadini o utenti digitali ne sono pienamente consapevoli e si limitano a cliccare un “sì” senza davvero leggere le informazioni contenute, spesso lunghe e tecniche. Ciò diviene pericoloso, in particolare, se la profilazione riguarda i dati clinici che implicano informazioni sulla salute.
La profilazione casuale può provocare la discriminazione di alcune categorie sociali, mentre l’accesso degli utenti può presentare alcune “barriere” all’ingresso. Guardando agli anziani e alle loro esigenze, come si interviene per limitare le disuguaglianze e aumentare la consapevolezza di quali e quanti dati personali sono rilasciati in rete?
La scarsa partecipazione alla “sfera digitale” da parte delle persone anziane le porta ad essere escluse dalla profilazione, e questo può causare forme di discriminazione. Il problema per le persone anziane riguarda il “divario digitale” o la diseguaglianza di accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Bisognerebbe consentire a tutti di acquisire strumenti, capacità e motivazione all’uso delle nuove tecnologie, per partecipare pienamente alla società e non essere emarginati dalla rete.
Va colmata, per quanto possibile, l’ineguaglianza digitale a causa dell’età (con riferimento agli anziani), della condizione socioeconomica, dell’area geografica di appartenenza. Anziani, ma anche persone meno colte, povere, abitanti dei Paesi in via di sviluppo, sono i soggetti più vulnerabili dell’era digitale. Al tempo stesso va garantito un accesso alternativo ai servizi (in particolare, proprio ai servizi sanitari) per chi preferisce non entrare nella sfera digitale, senza subire discriminazioni per tale scelta. Le persone anziane, non essendo “nativi digitali”, possono avere difficoltà maggiori. Andrebbero diffusi gli strumenti che sollecitano la loro partecipazione e che offrono nuove opportunità di confronto, condivisione, conoscenza, motivazione.
Quale è stato il contributo del Consiglio d’Europa rispetto ai diritti degli anziani nel campo della digitalizzazione dei dati?
Di particolare interesse il documento Diritti umani, partecipazione e benessere degli anziani nell’era della digitalizzazione (Conclusioni del Consiglio d’Europa del 9 ottobre 2020), che declina gli aspetti specifici della digitalizzazione, soffermandosi sulle sfide specifiche con particolare riferimento alle disparità nell’accesso alle tecnologie (sia per età che per sesso) e nelle competenze necessarie nel mondo digitalizzato. Sono sottolineati il diritto all’istruzione, alla formazione e all’apprendimento permanente, il diritto di accesso ai servizi essenziali – compresa la comunicazione digitale – nel contesto del diritto fondamentale alla parità di trattamento, a prescindere dall’età, in particolare per quanto riguarda la garanzia di protezione e sostegno a coloro che ne hanno bisogno.
Si ribadisce che gli anziani hanno il diritto di partecipare pienamente alla vita pubblica, sociale e culturale, nonché all’istruzione, alla formazione continua e all’apprendimento permanente. L’attività digitale garantisce sempre più la partecipazione e l’inclusione attive a livello sociale, culturale ed economico e contribuisce a prevenire l’isolamento sociale.
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