Sebbene alcune regioni si siano date ordinamenti e linee guida che definiscano diritti e doveri di queste importanti figure, il quadro d’insieme resta frastagliato
Secondo l’Istat e attraverso dati che risalgono – i più recenti – al 2018, le persone che in Italia assistono regolarmente figli o altri parenti di più di 15 anni in quanto malati, disabili o anziani, sono oltre 2 milioni e 800mila. Una responsabilità, questa di cura, che grava soprattutto sulle donne, specie nella fascia tra i 45 e i 64 anni. In questa lunga panoramica, da qui alle prossime pagine, proveremo proprio a mettere a fuoco la figura del caregiver tratteggiandone i bisogni e un profilo, attraverso la voce di chi – a tempo pieno o comunque sempre in modo stabile – si trovi a farsi carico di un familiare non autosufficiente.
Ciò che accomuna le storie con cui ci siamo confrontati è la condizione con la quale queste persone sono costrette a convivere: ci parlano infatti di stress, esaurimento emotivo, ansia e sintomi, più o meno evidenti, di depressione, che si palesano, come ci spiegheranno gli specialisti cui ci siamo rivolti, in disturbi del sonno ed effetti collegati all’area ansioso-depressiva.
In più di una circostanza, non a caso, sentiamo proprio parlare di burn-out. È un termine inglese che letteralmente significa “bruciato” ma che, in maniera più ampia, è riconducibile alle professioni di cura, e indica uno stato di esaurimento emotivo, fisico, morale generato da un carico di stress eccessivo. La Sindrome del burn-out, conosciuta, appunto, anche come “sindrome del caregiver”, è tipica nell’ambito delle professioni d’aiuto. Una condizione di stanchezza e carico emotivo ben al di sopra della soglia di tolleranza e che rischia di diventare duratura. Purtroppo, però, non sempre il caregiver ammette a sé stesso e agli altri di aver bisogno d’aiuto. È, però, il passo fondamentale: quello che attiva una rete che può rivelarsi indispensabile.
Il vero problema è che, alle nostre latitudini, la figura del caregiver non è riconosciuta né tutelata e ogni progresso nella condizione di assistenza della vita del malato e dell’accudente è strettamente correlata alla libera impresa di colui o colei che si fa carico di un parente malato. Altro discorso per Paesi come Germania, Spagna, Grecia, Francia, Regno Unito, Romania e Polonia, dove invece esistono norme a tutela di questi “prestatori di cure”.
Qui da noi, si può parlare di un autentico esercito silenzioso che ha anche dovuto affrontare le complessità dell’intero arco pandemico. Quello del caregiver è, come detto, un ruolo gravoso, spesso reso ancora più oneroso da una assunzione di responsabilità inattesa e in risposta a situazioni di assoluta emergenza. Sta di fatto che parliamo di avvenimenti destinati a modificare in modo parziale o totale la vita stessa di chi presta aiuto al familiare.
Va dunque sottolineato come in Italia manchi una legge organica sul tema del caregiving e, sebbene alcune Regioni si siano date ordinamenti e linee guida che inquadrano diritti e doveri del caregiver familiare, il quadro d’insieme resta frastagliato. Ma una notizia buona c’è: la cosiddetta legge sui “caregiver familiari” – di lunghissima gestazione – riprenderà questo anno la discussione in Senato, dopo uno stop che dura di fatto dal luglio 2020. Affatto positiva l’opzione che sembrerebbe saltare, ossia quella di garantire contributi figurativi o scivoli per il prepensionamento ai familiari che si prendono cura di un parente convivente non autosufficiente. Parrebbe economicamente insostenibile.
Di certo è allo studio un modo per far sì che i 2,8 milioni di persone che assistono familiari possano avere maggiore supporto. La Commissione Lavoro del Senato si starebbe orientando verso la scelta di circoscrivere il sussidio ai caregiver impegnati, per la maggior parte del loro tempo, nell’assistenza a familiari con patologie e disabilità gravi e gravissime.
Una nebulosa, al momento – tra norme e informazioni -, nella quale le famiglie fanno fatica a muoversi, mentre sono in tanti a ricordarci l’assoluta necessità di avere indicazioni, di poter seguire un percorso. Per riassumerla, i bisogni dei caregiver ruotano intorno a due più grandi direttrici: la necessità di una formazione rispetto alla malattia del congiunto e un modo quanto più rapido ed efficace di risolvere le incombenze quotidiane nonché le comunicazioni con il personale medico, senza tralasciare l’aspetto emotivo, psicologico, personale.
Ecco perché rivolgersi al Servizio sanitario, individuare un terapeuta di riferimento, farsi indicare associazioni di caregiver del proprio territorio, può rivelarsi una mossa se non vincente, almeno adeguata.
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