La pandemia ha cambiato il nostro modo di relazionarci. Si sono ridotti i contatti fisici e, in particolare, le effusioni fatte di persona. Attenzione però: guai a perdere l’abitudine di questi gesti ancestrali, carichi di valori e di significati
La foto vincitrice del World Press Photo di quest’anno ritrae un gesto significativo: l’abbraccio protettivo di un’infermiera di una casa di riposo che, per la prima volta dopo 5 mesi, e con le opportune misure di sicurezza, abbraccia un’anziana ospite della struttura.
Come la maggior parte dei comportamenti che richiedono un contatto fisico, gli abbracci si sono bruscamente interrotti con la comparsa del Covid. Ma, ben prima che il distanziamento sociale entrasse a far parte del quotidiano, questo semplice gesto, da sempre nelle nostre vite, sembrava giunto ad un punto di svolta.
Da qualche tempo infatti, i millennial, protagonisti nell’infanzia di interminabili riunioni familiari, dove a dominare erano appunto gli abbracci di nonni e zie, hanno introdotto l’idea che nessuno ha il diritto di stringere tra le braccia i propri nipotini senza il permesso di questi ultimi. Pena l’accusa di prevaricazione e mancato rispetto della volontà altrui. Esagerazioni? Sicuramente sì, ma il Coronavirus ha dato comunque l’opportunità di riflettere sulle norme di comportamento e sui modelli sociali. Ed è giunto il momento di chiedersi se e quanto sia importante, pandemia permettendo, tornare a questo gesto ancestrale, ricco di valore e di significati.
Se lo dice la psicologia…
Il bisogno di abbracci ha solide ragioni di esistere, come dimostra l’ultima ricerca condotta dalla DePaul University (Stati Uniti). All’esperimento hanno partecipato 248 persone divise per coppie. All’interno di ogni coppia, ciascun partner doveva trasmettere un’emozione – rabbia, paura, disgusto, gratitudine, felicità, amore, tristezza e simpatia – all’altro, scegliendo liberamente come farlo. Si è scoperto così che le sensazioni positive – amore, simpatia, gratitudine e felicità – vengono sempre trasmesse con un abbraccio. Un gesto impiegato anche per comunicare tristezza, ma, in questo caso, con una differenza di genere: infatti gli uomini, per mostrare infelicità agli individui del proprio sesso, si limitano ad un tocco, magari sulla spalla. Per trasmettere lo stesso stato d’animo, ma ad una donna, scelgono l’abbraccio. Dunque gli abbracci sono una forma di comunicazione insita nell’essere umano, al punto di poter parlare di una vera e propria crisi di “astinenza”, in caso si interrompano bruscamente.
Anche gli animali lo sanno
Del resto, che questo sia un modo primario per esprimere vicinanza, è testimoniato anche dal comportamento degli animali. Al di là dei numerosi esempi tratti dal mondo degli uccelli e dei mammiferi, esperti nel praticare l’“huddling”, ossia il contatto stretto tra la specie, non mancano studi condotti sui primati che individuano il valore sociale di questa pratica. Molte scimmie, infatti, ricorrono all’abbraccio per comunicare ad un altro esemplare di averlo riconosciuto. Ma se ne servono anche come mezzo per ridurre la tensione all’interno del gruppo, oltre a considerarlo un gesto di saluto e di rispetto degli individui giovani verso i più anziani. Del resto anche nella specie umana, da sempre, il gesto di allargare le braccia rappresenta la mancanza di cattive intenzioni. Al contrario, trasmette vulnerabilità e fiducia, comunicando una palese richiesta di sostegno sociale.
Il potere dell’ossitocina
Etologia a parte, il potere (positivo) degli abbracci è confermato anche dallo studio del corpo umano. Innumerevoli ricerche testimoniano, infatti, una loro azione diretta sull’organismo, in quanto stimolatori della produzione di ossitocina, un ormone che agisce sul cervello regolando le emozioni, riducendo lo stress e rafforzando i legami. Paul Zak, il neuroeconomista statunitense noto anche come “Dr. Love”, consiglia almeno otto abbracci al giorno per essere più sani, più felici e avere relazioni migliori. Una “soglia minima” per permettere al corpo di produrre e rilasciare grandi quantità di ossitocina in risposta al contatto fisico. L’abbraccio è salutare anche per il cuore e non solo per i più romantici. Uno studio condotto negli Stati Uniti su 200 coppie tra i 19 e gli 80 anni, infatti, ha dimostrato che l’abbraccio con il partner produce un effetto calmante, abbassando di fatto la pressione sanguigna. Ancora: abbracciandoci restiamo giovani più a lungo, poiché nel contatto fisico si produce l’emoglobina che rafforza l’organismo e rigenera i tessuti.
Gli abbracci del futuro? Forse più rari ma più preziosi
Tutto dunque porta a concludere che sia impossibile continuare a fare a meno del calore di un abbraccio, la più potente forma di comunicazione non verbale, richiamo all’infanzia e alla cura. Il rischio, tuttavia, è uscire dalla pandemia con una diffusa riluttanza al contatto fisico, specialmente verso le persone al di fuori dalla cerchia comune. Qualcuno potrebbe anche pensare che, tutto sommato, mantenere un leggero distanziamento nella stagione fredda sia la via migliore per tenere sotto controllo anche banali raffreddori e influenze. E allora, come capire se la persona che abbiamo davanti sia disposta ad accettare il nostro abbraccio? Semplicemente chiedendolo, raccomanda il canadese Conlan Mansfield, esperto nel campo della sicurezza. Senza imbarazzi o fraintendimenti. Certo, è prevedibile immaginare che nell’immediatezza le regole sociali incontreranno dei cambiamenti e gli abbracci ne faranno le spese, ma, come confermano l’evoluzione e la ricerca, il loro bisogno non verrà mai meno. Forse saranno meno frequenti, diverranno più rari e consapevoli. Ma, proprio per questo, saranno più sinceri.
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