L’epilessia rappresenta una delle patologie neurologiche croniche più diffuse, tanto da essere stata qualificata “malattia sociale” già nel 1965 dall’Oms. Stereotipi, pregiudizi e (auto)isolamento accompagnano da sempre chi vive con l’epilessia. In Italia si stima che a soffrirne siano circa 600mila persone.
L’esordio della patologia non è un’“esclusiva” dei bambini come si ritiene erroneamente, ma riguarda anche la terza età. Ed è sempre più frequente negli ultrasessantenni. Sull’argomento abbiamo rivolto alcune domande al Professor Oriano Mecarelli, tra i massimi esperti di epilettologia ed elettroencefalografia clinica, già presidente della LICE (Lega Italiana contro l’Epilessia).
Esistono varie forme cliniche di epilessia: qual è la più comune? E qual è la più diffusa tra le persone anziane?
La classificazione dell’epilessia descrive oltre 40 forme della malattia che possono presentarsi in età diverse. Si manifestano con sintomi in genere improvvisi e non provocati che caratterizzano appunto le crisi epilettiche. Le crisi possono essere focali (quando si manifestano per una scarica di ipereccitabilità che si origina in aree specifiche e ben localizzate della corteccia cerebrale) oppure generalizzate (se la scarica epilettica coinvolge tutte le strutture cerebrali).
Le crisi focali, che insorgono da una singola area cerebrale, a loro volta possono poi evolvere in una generalizzazione, quando la scarica epilettica da circoscritta diventa diffusa. Tra tutte le epilessie quelle maggiormente frequenti – anche nelle persone anziane – sono le forme con crisi ad esordio focale, che non sempre si associano a perdita di coscienza completa. Queste crisi però possono poi evolvere in crisi generalizzate, con perdita di coscienza, caduta a terra, irrigidimento muscolare e poi scosse muscolari ripetute, fino alla cessazione cui segue un periodo più o meno lungo di stordimento e amnesia di quanto accaduto.
Cosa fare o non fare per soccorrere una persona con epilessia quando insorge una crisi?
L’atteggiamento da seguire quando si assiste ad una crisi epilettica dipende soprattutto dal tipo di crisi che la persona manifesta. Quando si tratta di un breve momento di assenza o di un episodio in cui la persona è soltanto confusa e non risponde correttamente a quanto richiesto è necessario soltanto vigilare e osservare attentamente l’accaduto, per poi saperlo riferire. Nel caso invece della crisi più eclatante, in cui la persona improvvisamente cade a terra emettendo un urlo, poi si irrigidisce e quindi si scuote violentemente (crisi convulsiva) occorre – se possibile – evitare che cadendo si procuri un trauma cranico.
Una volta a terra si può tentare di porre qualcosa di morbido sotto il capo durante le scosse, togliere gli occhiali e allentare gli indumenti troppo stretti. L’importante è però non cercare mai di aprire forzatamente la bocca (nel tentativo di inserirvi oggetti morbidi o duri) e non immobilizzare gli arti. Terminate le scosse è preferibile girare il corpo sul lato sinistro per facilitare che le secrezioni defluiscano dalla bocca (e non spaventarsi se la saliva è rossastra perché involontariamente il soggetto si è morso la lingua!). È fondamentale restare calmi, evitando i capannelli e le domande ripetute, e non si deve somministrare alcun tipo di liquido. Chi assiste alla crisi deve poi saperne riferire la durata e come si è manifestata; il 118 va chiamato se la crisi perdura oltre i 5 minuti e se la caduta ha provocato ferite o traumi cranici rilevanti.
Cosa sappiamo sulle cause della malattia, in particolare nell’età avanzata?
Le cause delle epilessie nel 20% circa dei casi sono su base genetica (accertata o presunta) mentre in una percentuale più elevata (superiore al 30%) sono su base strutturale (cioè, dovute a vere e proprie lesioni cerebrali per malformazioni durante lo sviluppo, esiti di tumori cerebrali, traumi cranici, ictus etc).
Forme meno frequenti di epilessia riconoscono una causa metabolica o infettiva o disimmune. Restano inoltre più di un terzo delle epilessie che tuttora hanno una causa sconosciuta, e per quest’ultimo aspetto molto si deve ancora fare in termini di ricerca e di sviluppo di mezzi diagnostici più sofisticati. Sempre di più l’epilessia è frequente nei soggetti che hanno superato i 65 anni di età e nell’anziano ovviamente sono scarsamente rilevanti i fattori genetici come causa dell’epilessia, mentre prevalgono le lesioni cerebrali, soprattutto quelle su base vascolare, ma anche i fattori neurodegenerativi e quelli metabolici e disimmuni.
Come si cura l’epilessia? Ci sono novità sul fronte terapeutico?
Le varie forme di epilessia si curano innanzitutto con dei farmaci specifici, definiti “farmaci anti-crisi”. Si tratta infatti di farmaci sintomatici, che tengono sotto controllo le crisi ma non riescono a sconfiggere la malattia che le determina. Attualmente abbiamo in commercio decine di farmaci, di vecchia e nuova introduzione, per cui la scelta dello specialista è ampia permettendogli di prescrivere una terapia il più possibile mirata per quel tipo di epilessia e per quella persona che ne soffre. Si tratta di una terapia cronica, che talvolta occorre fare per anni o anche per tutta la vita, e che consiste nell’assunzione di farmaci per bocca in genere due volte al giorno. È quindi un trattamento lungo e fortemente impattante, che deve essere seguito attentamente dallo specialista curante, al fine di minimizzare gli effetti collaterali che i farmaci spesso inducono.
Nonostante tutti questi farmaci in commercio oltre un terzo dei casi non risponde come vorremmo alle terapie. Sono queste le situazioni più difficili, in cui l’epilessia è farmacoresistente. Quando la farmacoresistenza è dimostrata si può ricorrere ad un intervento neurochirurgico, fattibile se si può evidenziare la struttura cerebrale sede della lesione che provoca l’epilessia e se essa è asportabile senza conseguenze negative per la persona. Quando la terapia con i farmaci non funziona e l’intervento non è attuabile si può ricorrere a terapie palliative, come la stimolazione del nervo vago e la dieta chetogenica.
Guidare, fare sport, viaggiare sono attività consentite alla persona con epilessia in là con gli anni?
La qualità della vita delle persone con epilessia è quasi sempre diminuita e questo in tutte le età della vita. Chi soffre di epilessia ha difficoltà a scuola, nei legami affettivi, nel mondo del lavoro ed in quello ricreativo. Esistono poi problematiche specifiche per il sesso femminile, legate soprattutto al fatto che i farmaci possono interferire negativamente con l’andamento della gravidanza e dello sviluppo fetale. Negli anziani, inoltre, le problematiche sono addirittura maggiori, perché i farmaci possono interagire con le terapie assunte per altre patologie e l’evenienza crisi limita ulteriormente l’autonomia individuale.
Le persone con epilessia, sia giovani sia anziane, debbono essere stimolate a condurre una vita il più possibile regolare. La guida di autoveicoli è possibile quando con la cura si riesce a tenere sotto controllo le crisi per un periodo di almeno un anno ed esiste una legge apposita che regolamenta questo aspetto. L’attività fisica fa molto bene alle persone con epilessia, ma il tipo di attività va discussa con lo specialista al fine di privilegiare quella più indicata e con meno rischi in caso di crisi. Anche i viaggi sono possibili, purché vengano portati con sé i farmaci, che debbono essere sempre assunti con regolarità. È anche consigliabile di tenere tra i documenti un foglio con la lista dei contatti da utilizzare in caso di emergenza e una certificazione medica che attesti il tipo di epilessia di cui si soffre e la terapia prescritta.
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