Questa è la storia di una donna coraggiosa, nata agli inizi del secolo scorso. Una donna che in nome della passione per lo sport ha lottato contro i pregiudizi di una cultura maschilista. Il suo cuore oggi batte in un appartamento dell’elegante quartiere di L’Eixample, a Barcellona.
Qui, infatti, vive Encarna Hernández, 103 anni, classe 1917. Uno sguardo vivace, una gioia contagiosa e un prodigio della memoria. Capace di scomporre nei minimi dettagli le migliaia di documenti, fotografie e oggetti che trasformano la sua casa in un museo del basket e dello sport in generale.
Una ragazza anticonformista
La sua rilevanza non si misura con le medaglie di quando la Women’s League o la Coppa Europa ancora non esistevano, ma dalla sua capacità di accendere il fuoco dello sport femminile in tempi difficili. In particolare, durante la lunga fase del regime franchista. «A quel tempo, giocare a basket o andare in moto era disapprovato. Dicevano che era una cosa da maschio», ha ricordato in una recente intervista alla stampa spagnola.
Encarna è infatti una protagonista di quegli anni in cui il basket si giocava sulla sabbia, con palloni pesanti e molto grandi. Quando alle donne mancava persino un abbigliamento adatto.
La passione per l’aria aperta
Encarna deve l’amore per lo sport al padre, che la portava in riva al mare per correre e giocare all’aria aperta. La passione per il basket invece le è nata quando ha visto giocare gli amici del suo quartiere.
Ha avuto così modo di conoscere il leggendario cestista Eduardo Kucharski, ma anche Anselmo López (presidente della Federazione spagnola di pallacanestro negli Anni ’60) e Jesús Planelles, suo futuro marito.
Scelse il basket – come racconta – vedendo i suoi coetanei divertirsi mentre giocavano all’aria aperta. Un piacere che le era molto familiare. Così, per lei, come per tutte le sportive degli anni Venti e Trenta, lo sport è stato uno svago, un nuovo modo di passare il tempo libero. Ma anche la liberazione dai vecchi modelli maschili.
Una passione controcorrente
Nella prima metà del Novecento lo sviluppo dell’attività sportiva fra le donne è un segnale di emancipazione. Lo sforzo atletico, tradizionalmente associato alla virilità, diviene a poco a poco accessibile anche a loro. In questo modo cominciano – seppur lentamente – a sottrarsi all’idea più tradizionale, che le voleva passive e sedentarie, e sembrano poter godere di nuovi spazi.
Ma lo sviluppo dello sport femminile doveva ancora fare i conti con diffusi atteggiamenti che consideravano le attività fisiche essenzialmente un dominio maschile. Ricordiamoci che ai primi del Novecento, la funzione più naturale e moralmente adeguata per le donne, la maternità, era vista in alternativa alla pratica sportiva.
Una vita in movimento e una medaglia d’oro al merito sportivo
Nel corso della sua vita Encarna non si è dedicata solo al basket. Oltre a praticare pattinaggio, ciclismo e nuoto è stata anche allenatrice. Un ruolo che le ha permesso di guadagnare il suo primo, vero stipendio.
La sua carriera si è conclusa all’età di 36 anni, dopo la nascita del figlio Juan Carlos, al quale ha cercato di infondere la passione per lo sport fin dall’infanzia. Da allora Encarna si è dedicata ad altri hobby, come il cinema, a cui si è appassionata dopo l’acquisto di una delle prime telecamere Super 8. È stata anche una delle prime donne a prendere la patente a Barcellona, e solo l’insistenza di suo figlio l’ha convinta a lasciare la guida al compimento dei 95 anni.
A settembre di quest’anno il Comune di Barcellona le ha conferito la medaglia d’oro al merito sportivo. Il sindaco, Ada Colau, ha sottolineato: «Questa medaglia va oltre lo sport. In Encarna riconosciamo una generazione di donne combattenti, ribelli e che non si sono accontentate di un sistema che diceva che lo sport era una cosa da uomini».
“L’amore per la squadra viene dal cuore”
Purtroppo lo scorso giugno Encarna si è fratturata tibia e perone, ma – con tutte le precauzioni legate alla pandemia – ha continuato a uscire.
«Il mio sogno – ha dichiarato – è il basket, la mia famiglia e mio figlio. Ho vissuto e vivo per loro». Così, anche oggi continua a seguire gli eventi sportivi in televisione. Soprattutto le partite della sua squadra preferita, la Nazionale spagnola di pallacanestro. Commenta ad alta voce e, di tanto in tanto, rimprovera qualche moda che non condivide: «Non serve baciare la maglia dopo la vittoria, l’amore per la squadra viene dal cuore».
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