«Molte delle mie amiche hanno accettato le quote rosa per esaurimento. Io, personalmente, non ne sono entusiasta perché il mio obiettivo non è una creare una società per quote». A dircelo è Emma Bonino, senatrice e storica esponente radicale, tra i protagonisti del numero di giugno di 50&Più in cui ci racconta di donne e voto e dell’importante conquista che fu, per l’intero Paese, l’estensione del voto ad esse.
Un passaggio delicato per la nostra storia comune e che ha dato il via a una lunga strada di battaglie e conquiste che hanno portato a una sempre maggiore indipendenza – economica e sociale – delle donne. Settantacinque anni densi che hanno cambiato radicalmente il volto femminile in Italia.
Senatrice Bonino, perché non ha mai apprezzato le quote rosa?
Perché non è nella mia concezione una società in cui ci siano tot bianchi, tot neri, tot donne, tot gialli. Non è il modello di società aperta e democratica cui penso io. Eppure, da buona legalitaria ritengo che, se una legge c’è, vada applicata.
L’estensione del diritto di voto alle donne avviene immediatamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Come giudica questo passaggio?
Come un passaggio straordinario che ha aperto la via a cambiamenti che sono tuttora in corso. Ma il fatto che oggi viviamo in una fase culturale di populismo reazionario comporta che le conquiste vadano presidiate e protette.
Le donne, che pure hanno avuto un ruolo fondamentale, nell’evoluzione del nostro Paese, sono sufficientemente raccontate?
Affatto. Tant’è che – anche in un periodo molto analizzato come quello della Seconda Guerra Mondiale, col ruolo importante della Resistenza – non è mai stato riconosciuto adeguatamente il loro impegno. La narrazione continua a girare intorno al partigiano, uomo solo sui monti, quando invece sono state tante le esperienza di Resistenza femminile: dalle donne che portavano cibo ai partigiani nascosti in qualche soffitta al lavoro delle staffette. Solo recentemente – su Repubblica – è stato fatto un ampio servizio sulle donne partigiane. Una di queste la conosco molto bene: è Gianna Radiconcini che oggi ha 93 anni. È una donna ancora attivissima adesso. Vide arrestare il marito di una sua amica in una retata, la stessa che diede lo spunto a quella bellissima scena di Roma Città Aperta con Anna Magnani che viene fucilata per strada mentre rincorre il camion che si porta via il marito.
Si sente meno battagliera di una volta?
No, sono solo determinata ad andare avanti. Non ho tempo né di arrabbiarmi né di non arrabbiarmi. Il lavoro sull’autonomia della donna non può che andare avanti.
Il periodo più significativo delle conquiste delle donne?
Tappa fondamentale ma che è arrivata con un po’ di ritardo dal mio punto di vista, è stata quella che ha portato agli anni Settanta e dunque agli anni delle riforme civili di cui le donne erano e sono grandi beneficiarie. Poi c’è stato un altro momento di pausa un po’ troppo lungo, sempre dal mio punto di vista, ed oggi constato un grande risveglio, anche se ognuno fa il proprio gruppo. C’è poca rete. E questo dividet et impera funziona, purtroppo, perfettamente…
Ritiene che siano le donne a doversi occupare di donne?
La nostra presenza parlamentare credo sia intorno all’11-12%. Però voglio dire che una donna non è che debba occuparsi di donne. A me va bene che Elena Cattaneo si occupi di scienza o che Samantha Cristoforetti lo faccia in campo astronautico perché la donna che si occupa di donne non è l’unico modello possibile.
Torniamo alle quote rosa. Sono il nostro unico salvacondotto?
Molte delle mie amiche l’hanno accettata per esaurimento. Io personalmente non sono entusiasta perché il mio obiettivo non è una creare una società per quote. Ma, al di là delle quote, serve un salto di qualità culturale: molti ancora pensano che tu devi essere moglie e soprattutto madre e se proprio ti rimane del tempo puoi anche lavorare. Per cui, di fatto, una donna non è mai disoccupata: semmai, è non pagata.
Cosa serve ai movimenti femminili per continuare a imprimere la loro impronta?
Determinazione e costanza: non arrendersi e non tutte ce la fanno. Non sono affatto depressa, sia ben chiaro, ma determinata.
Le donne, in questa emergenza legata all’epidemia da Covid, sono chiamate a uno sforzo ancora maggiore: casa, lavoro, figli. Spesso, tutto sovrapposto.
Hai voglia a dire che le donne possono tornare a lavorare… Ma i bambini a chi li lasci? Ad ogni modo, mi sento di dire: non rinunciate al lavoro, alla vostra autonomia. È il passaggio fondamentale per garantire a voi stesse la libertà di scelta. E poi basta col tema della conciliazione casa/lavoro! Iniziamo semmai a parlare di condivisione.
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