I cambiamenti in atto non hanno solo un impatto concreto sulle nostre vite, ma vanno a incidere anche sulle emozioni più profonde. Le reazioni di fronte al diffondersi del Coronavirus sono state diverse, e in molti casi estreme: di negazione da un lato, di panico dall’altro. Ne abbiamo parlato con Emilio Masina, psicoanalista membro ordinario Associazione Italiana di Psicoanalisi e docente all’Università La Sapienza di Roma, autore del libro La speranza che abbiamo di durare, edito da Emersioni
Dottor Masina, per la sua esperienza professionale, quali sono le emozioni che sta registrando più di frequente in questo momento di crisi?
Riscontro allarme, paura, angoscia e talvolta anche panico. È aumentato il livello di ipocondria e di diffidenza verso il prossimo, e l’aspetto più negativo è che tendiamo a far dominare le emozioni, e quindi a ridurre la capacità di filtrarle attraverso criteri razionali. Noi esseri umani funzioniamo secondo la cosiddetta bi-logica, abbiamo cioè una doppia logica, fatta da un livello di inconscio ed uno razionale dove riusciamo a distinguere bene le cose. Ad esempio, quando siamo innamorati prevale il nostro modo di vedere le cose dal punto di vista emotivo, ma c’è sempre una piccola componente razionale che ci fa domandare di chi ci stiamo innamorando; quando invece facciamo un compito di matematica prevale l’aspetto razionale, anche se magari può esserci il piacere o il fastidio di non riuscire a portarlo a termine. In mezzo a questi due estremi ci sono varie possibilità, ma in questo momento stanno dominando infinite emozioni che non riescono a essere contenute da ragionamenti.
Come si possono leggere i fenomeni di negazione, o di minimizzazione del rischio ai quali abbiamo assistito, almeno inizialmente?
Si tratta di fenomeni abbastanza normali per noi psicanalisti: la negazione è un meccanismo che serve a proteggersi dall’angoscia e la rimozione è un modello di difesa che ci porta a mettere via tutto ciò a cui non vogliamo pensare. Ad esempio, il fatto che inizialmente i casi di contagio sembrassero circoscritti ad un’area ben precisa, ha portato gli abitanti di altri luoghi a credersi immuni, e a continuare la loro vita come se nulla fosse per altro tempo. Questi sono fenomeni sbagliati ma purtroppo naturali di negazione per cercare di proteggersi dall’angoscia che comunque si stava già diffondendo.
Dalla negazione si è purtroppo passati alla paura, se non al vero e proprio panico: come si possono gestire queste emozioni per non esserne travolti?
L’importante in questo momento di isolamento è riuscire a sentirsi meno soli, sapere che ci si prende cura l’uno dell’altro, senza chiuderci nel narcisismo. A volte bastano piccoli gesti, come un aiuto ai più anziani con la spesa, un biglietto, una telefonata, qualunque cosa possa fare da argine alla solitudine.
Alcuni mesi fa lei ha pubblicato il suo primo libro, La speranza che abbiamo di durare: cosa dobbiamo augurarci che resti, dopo che sarà passata questa emergenza?
Nel mio libro denunciavo la progressiva dissoluzione dei rapporti umani nelle nostre città, e certo questa crisi rischia di isolarci ancora di più, di ripiegarci sulla cura di noi stessi e dei nostri cari, ma può anche essere l’occasione per accorgersi degli altri e costruire o mantenere un legame. Il senso del libro è che non dobbiamo perdere di vista le relazioni, soprattutto in un momento come questo. L’essere umano è nato per relazionarsi, basti pensare che anche nel nostro corpo abbiamo degli elementi che proteggono ed altri che devono essere protetti, come la calotta cranica per il cervello e la pelle per i tessuti. C’è già una relazione dentro di noi, e fin dai primi momenti di vita siamo predisposti a interagire con gli altri. Di questo momento dovremmo ricordarci che le relazioni sono essenziali, non solo quelle fra persone, ma anche quelle fra noi e il nostro ambiente di vita.
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