Emilia Mastrangelo. Laureata in lettere, docente di italiano e latino nei licei attualmente in pensione ma impegnata in varie attività associative a carattere culturale, sociale e politico. Da sempre appassionata di scrittura, sia in prosa che in versi, si è cimentata più volte nel Concorso 50&Più, vincendo molte menzioni speciali, una Farfalla d’Oro nel 2022 e una Superfarfalla nel 2023 per la prosa. Ha scritto e pubblicato un libro “Le mie storie bizzarre”. Vive a Caserta.
Dall’altra parte della strada c’era un bar. Aveva cambiato nome e gestione tante volte, ma era rimasto il suo bar, quello dove arrivava ogni mattina trafelata prima di andare al lavoro. Prendeva un caffè al volo, se era in ritardo, cioè quasi sempre, oppure sedeva al tavolino e si faceva portare una brioche appena sfornata col cappuccino bollente, mentre sfogliava il quotidiano con le notizie del giorno, ma non accadeva spesso, perché rincorreva sempre il tempo, che le sfuggiva di mano.
Il locale non era ampio, ma aveva due belle luci sulla strada, una era la porta a vetri col campanello in cima, proprio di fronte al portone di casa sua, l’altra era un finestrone che affacciava sulla strada ad angolo.
Miranda poteva vederne l’insegna dalla sua finestra e talvolta, sì, le piaceva proprio spiare la gente che entrava o usciva dalla porta a vetri.
I baristi che si erano avvicendati negli anni la conoscevano bene e la chiamavano per nome, come un’amica di vecchia data.
Proprio quella mattina Miranda stava cercando di ricordarne i connotati, perdendosi tra i flussi della memoria, che arrivava ad ondate in sincrono con la dolcezza delle note che il suo apparecchio stereo diffondeva nella sala. Si sentiva nostalgica, come le capitava spesso negli ultimi tempi,
Lello era stato il primo barman che aveva conosciuto. Dal banco la canzonava spesso, vedendola arrivare di corsa coi tacchi a spillo e il tailleur impeccabile.
– Dove corri, bellezza? Con quelle scarpe una volta o l’altra ti romperai l’osso del collo.
Miranda faceva un segno di scongiuro e gli strappava dalle mani la tazzina col solito caffè schiumato, che il giovane già le aveva preparato, vedendola partire dall’altra parte della strada. Poi scappava via senza dir parola, come una saetta, verso la vicina stazione della metro, che l’avrebbe condotta in pochi minuti a via Dell’Agnello, dov’era la sede del suo prestigioso ufficio, per iniziare l’ennesima convulsa giornata di lavoro, fatta di incontri, telefonate, relazioni, corrispondenza, riunioni e tanto altro.
Tempi passati, ahimè! Tornavano ora con la precisione del dettaglio, come un rintocco di campana, mentre continuava a perdersi dietro i ricordi, che arrivavano a ondate con la musica del cuore.
E in quel bar l’aveva notata Piero una mattina di tanti anni prima, fermandosi a chiedere chi fosse quella splendida meteora, come poi le aveva raccontato Lello.
Piero era un avvocato sulla quarantina, alto e belloccio, ma con una incipiente stempiatura che faceva prevedere forse una prossima calvizie. Era troppo sicuro del suo appeal e riteneva preda certa ogni giovane femmina attraente che gli capitava a tiro. Solitamente in quel bar si fermava di rado, ma da allora aveva cominciato ad essere più assiduo. Ormai aveva adocchiato la sua ennesima preda e non voleva lasciarsela scappare. Così, dopo qualche settimana di appostamenti andati a vuoto, era capitata l’occasione.
Miranda stava cercando di ricostruirne i particolari nella sua mente.
– Stamattina pausa larga! – l’aveva apostrofata Lello sagace, ormai pronto ad adeguare la qualità del servizio alla tipologia del passo di lei e in un baleno brioche, giornale e cappuccino fumante erano davanti a Miranda, che lo aveva gratificato con un sorriso smagliante e una pacca sul sedere.
Il barman usava con lei un tono confidenziale un po’ perché erano coetanei, un po’ perché, a furia di vederla ogni giorno, la considerava parte di una famiglia virtuale, una creatura un po’ sprovveduta da proteggere contro le insidie della vita, di cui si considerava più esperto.
Assorta com’era nella lettura, quasi era sobbalzata alla voce estranea di uno che le chiedeva se poteva sedersi al suo stesso tavolino.
– C’è tanto posto, perché vuole sedersi proprio qui? –
– Per guardarla finalmente negli occhi, visto che corre sempre. –
Era cominciato con questo ruvido approccio il legame più importante della sua vita e Piero ancora una volta l’aveva avuta vinta, ma Miranda non si era mai sentita l’ennesima femmina del suo harem, prima di tutto perché lo aveva tenuto sulla corda per molti mesi e poi perché nel loro rapporto effettivamente forse Piero era la preda e lei il segugio. Insomma, con questo sistema avevano finito per rubarsi reciprocamente un quarto di vita.
Ora neanche ricordava come poi quel rapporto si fosse sfilacciato e trasformato in banale routine, che stava stretta ad entrambi. Un bel giorno non l’aveva più trovato nella sua casa e nel suo letto, ma ne era stata quasi sollevata.
Dopo di lui quanti altri avevano condiviso i suoi spazi e il suo tempo? Ci stava pensando, mentre si lasciava cullare dalla voce di Frank Sinatra che inondava la sala nella penombra della fredda alba invernale, creando strani effetti di luce con le vibrazioni sonore.
Strangers in the night exchanging glances / wond’ring in the night what were the chances / we’d be sharing love be/ore the night was through
Sconosciuti nella notte che si scambiano occhiate / chiedendosi nella notte quali siano le probabilità / di condividere l’amore prima che la notte sia finita
Dopo di Piero, Mario e poi Federico e Stefano erano stati proprio sconosciuti nella notte e lei li aveva accolti per vedere quali fossero le probabilità di condividerne l’amore e la vita.
Ma ora che la sua notte stava per finire doveva ammettere che quelle probabilità si erano dissolte e che l’amore restava un miraggio. Con loro erano passati in un baleno gli anni della sua vita.
Ora indietro vedeva il vuoto e avanti solo foschia. Mentre la musica finiva, Miranda ricordava un particolare dei suoi tanti viaggi: in Giappone le avevano insegnato a disegnare in un unico gesto un cerchio col pennello sulla carta di riso. Era un simbolo. Si chiamava ENSÕ e rappresentava il mutamento ciclico, una circolarità che non si chiude mai e che nella sua imperfezione continua a rigenerarsi, proprio come il tempo, contemporaneamente denso e fluido, circolare ed inconcluso anch’esso.
Il suo tempo, il suo ENSÕ, prima o poi si sarebbe chiuso.
Intanto si era fatta l’ora del bar, il suo bar, forse l’unico punto fermo della sua vita.
Sempre lì, sempre uguale.
Ora non doveva attraversare la strada di corsa, perché il tempo non le sfuggiva, anzi ristagnava anche troppo. Soprattutto non portava più i tacchi a spillo.
Ora ci andava piano, appoggiandosi al bastone e qualche volta il barista di turno andava a prenderla sotto casa per aiutarla ad attraversare.
Ora il barman era Alfonso, detto Fofò, che la stava accompagnando al suo tavolino con la brioche ed il cappuccino già pronti sul vassoio. Non leggeva più il giornale di carta, ma ascoltava dal cellulare il podcast del mattino. In questo la sua capacità di cogliere al volo le opportunità della vita l’avevano resa felice complice del trionfo tecnologico.
Ora sfidava i suoi occhi malati spingendo lo sguardo curioso oltre i vetri. Vedeva un via vai di persone affaccendate, com’era lei tanti anni prima, e notava altrettante donne, alcune belle e sofisticate, altre sfatte, attempate, canute, quasi com’era diventata o come si percepiva lei. La Miranda del passato e quella del presente! Mancava la dimensione del futuro. Quale Miranda sarebbe stata nel tempo limitato che le rimaneva?
Ora al tavolino di fronte sedeva un signore distinto. Poteva dirsi un bell’uomo a suo modo, nonostante l’età avanzata: sulla settantina, ben vestito, maglione blu girocollo, dal quale emergeva una camicia chiara, forse azzurrina; una corona di radi capelli bianchi cortissimi circondava un’ampia stempiatura. Scherzava con Fofò su un amico comune.
La colpì il tono della voce. Per un frammento di secondo s’incrociarono i loro sguardi. Fu un cortocircuito tra il respiro ed il cuore, che prese a batterle forte, un’emozione intensa. Non poteva sbagliarsi: era Piero! Lo aveva riconosciuto più per un suo gesto abituale che per i connotati, ma lei si girò subito di spalle. Non voleva che la vedesse così dimessa, così diversa, così invecchiata. Forse Piero era lì per lei. Forse più tardi avrebbe bussato alla sua porta. Forse era lui il segnale che aspettava per capire da quale parte volgesse il suo tempo.
Tutti questi dubbi si rincorrevano incalzanti nella sua testa. Capì che doveva decidere in fretta: girarsi e farsi riconoscere, magari abbracciarlo, per riannodare i fili di una storia malamente interrotta anni prima oppure scomparire alla chetichella?
In quel tumulto di pensieri si fece strada una folgorazione: non poteva essere lui il suo presagio di futuro. Miranda aveva raggiunto il traguardo di un viaggio dentro di sé, in cui aveva fatto pace col suo passato. Ecco, se Piero avesse bussato alla sua porta, gli avrebbe detto con fermezza che non poteva e non voleva condividere il restante segmento della sua vita con una parvenza d’uomo.
Ora dall’altra parte della strada c’era … la sua casa, dove l’attendeva un’ultima inquilina, si chiamava Solitudine, con cui litigava ogni giorno. Aveva capito all’improvviso che non aveva bisogno di stampelle umane per affrontarla.
Ora sentiva di potercela fare con le sue forze, sebbene deboli.
Ora poteva condividere i suoi spazi e le ombre del suo passato con una sé stessa nuova, una Miranda che aveva imparato a disegnare il cerchio del suo ENSÕ.