Nonostante l’ordine sia un “potente ansiolitico” capace di escludere imprevisti e preoccupazioni, è nell’incertezza del disordine che tiriamo fuori il nostro meglio: improvvisando, cercando soluzioni alternative e dando ampio spazio alla nostra creatività
Di questi tempi vanno di gran moda il minimalismo, il decluttering – la pratica di liberarsi di oggetti brutti, vecchi, che non usiamo o che semplicemente occupano troppo spazio – insomma l’ordine come stile di vita. La giapponese Marie Kondo si è guadagnata una fama planetaria (Netflix le ha addirittura dedicato una serie piuttosto divertente) con le sue istruzioni per riordinare le case e vivere felici. Ma anche il disordine ha i suoi vantaggi, e di tanto in tanto è necessario difenderlo dai suoi molti detrattori.
A Vancouver si trova una libreria molto diversa dal solito. Si chiama MacLeod’s Books, vende ogni sorta di libri usati – di cui ha un assortimento sterminato -, si trova in Pender Street, cioè in pieno centro, e dovrebbe essere una tappa obbligatoria per chi si trovi a passare di lì.
Cosa rende MacLeod’s un posto così fuori del comune, a parte il fatto che è possibile trovarci di tutto? Per capirlo è necessario descrivere il luogo, e in realtà per farlo basterebbero due parole: gigantesco disordine. I libri sono disposti in modo all’apparenza casuale, ammucchiati su banconi, stipati su scaffali, impilati in equilibrio precario sul pavimento. In alcune zone del negozio anche solo muoversi è piuttosto complicato: l’impressione, non del tutto rassicurante, è che un gesto sbagliato potrebbe produrre crolli a catena dagli effetti imprevedibili. Se si leggono i commenti su Internet si scopre che molti frequentatori descrivono la visita come un’autentica caccia al tesoro e in particolare nel piano interrato – se possibile perfino più disordinato del pian terreno e dall’atmosfera ancora più misteriosa, quasi esoterica – si scovano libri davvero sorprendenti.
L’aspetto più singolare dell’esperienza, però, consiste nell’osservazione del lavoro dei commessi. Arriva un cliente e con l’espressione dubbiosa di chi non crede sia possibile ritrovare alcunché, lì dentro, chiede qualcosa, magari mostrando un foglietto con un appunto. Il commesso sfodera un sorriso professionale e anche un po’ inquietante, annuisce e, senza consultare computer o archivi, si dirige con incomprensibile sicurezza verso un punto preciso di quel caos, scompare per qualche istante fra cataste di volumi e ne riemerge quasi sempre con il libro richiesto.
Lo spettacolo ha un che di ipnotico – è come assistere a un’elegante prestazione sportiva o, meglio, all’esibizione di un prestigiatore – e l’abilità quasi soprannaturale dei commessi di MacLeod’s ricorda un testo interessantissimo intitolato, senza lasciare spazio a troppi equivoci: La forza del disordine, di Eric Abrahamson e David H. Freedman.
Ci sono molte cose che fanno riflettere in questo libro. Il succo – spiegato con esempi divertenti e inattesi – è che spesso ordine, organizzazione e tendenza alla pianificazione producono più danni che benefici; e che individui, istituzioni e sistemi moderatamente disorganizzati si rivelano più dinamici, elastici e creativi di quelli troppo organizzati.
Per la maggioranza di noi – sostengono gli autori – l’ordine è divenuto un fine piuttosto che un mezzo. Quando veniamo travolti dall’ansia per le nostre scrivanie e le nostre case disordinate non è tanto perché il disordine ci crea dei veri problemi, ma solo perché supponiamo che dovremmo essere più ordinati e organizzati.
È chiaro che mettere in ordine ci dà un senso di controllo, la sensazione di sapere cosa stiamo facendo, la soddisfazione di perseguire i nostri obiettivi con efficienza. Avere un posto per ogni cosa – letterale o metaforico – è un potente ansiolitico, perché riduce al minimo l’imprevedibilità. Il disordine invece ci costringe ad improvvisare, a sopportare la frustrazione di non sapere dove stiamo andando, ci obbliga a fare i conti con l’incertezza.
La cosa più sorprendente, però, è che a volte la disorganizzazione può portare a essere non solo più creativi, ma anche più efficienti. Nel 2014, durante uno sciopero della metropolitana di Londra, tre economisti monitorarono il percorso dei viaggiatori costretti a cercare modi alternativi per andare a lavoro e spostarsi per la città. La maggior parte delle persone aveva dovuto abbandonare le proprie abitudini, probabilmente con un certo fastidio, ma quello che sorprese gli studiosi fu ciò che accadde dopo. Seguendo i dati delle carte utilizzate per pagare il viaggio, i ricercatori scoprirono che alcuni degli utenti della metro non erano mai più tornati alle loro abitudini precedenti. Il caos generato dallo sciopero e un po’ di inventiva avevano permesso loro di trovare percorsi migliori, più brevi o più economici. Alternative che non avrebbero mai scoperto se tutto fosse andato per il verso giusto.
Molto più di una consolazione per quelli tra noi – ad esempio gli autori di questa rubrica – che hanno un rapporto difficile con l’ordine e con l’organizzazione personale. In momenti di particolare sconforto, l’antidoto è ripetersi una frase attribuita ad Einstein, che fa più o meno così: «Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa è segno, allora, una scrivania vuota?». Almeno ci ricorda che siamo in buona compagnia.
Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto racconti, romanzi e saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Il suo romanzo più recente è La disciplina di Penelope.
Giorgia Carofiglio (Monopoli, 1995) si è laureata in Teoria Politica presso la University College London. Ha lavorato in un’agenzia letteraria e collabora con case editrici.
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