Sei tappe di un percorso che favorisce la riflessione e la presa di coscienza sulle condizioni in cui versa l’ambiente circostante con un approccio circolare. A realizzarlo i Missionari comboniani a Roma
«Che tipo di mondo intendiamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?». Sono le parole di papa Francesco, contenute nell’enciclica dal titolo ‘Laudato si’. Sulla cura della casa comune’ del maggio 2015. A cinque anni dalla pubblicazione, nel 2020, i missionari comboniani hanno ripreso il testo, lo hanno analizzato e dalla loro riflessione è nato un progetto destinato a uscire dai confini della nazione e raggiungere l’altra parte del mondo. Ad aprirci le porte del ‘Parco Laudato Sì’- immerso nel verde di Roma – è fratel Alberto Parise, del Segretariato generale della Missione Comboniana.
«Il percorso nasce durante la pandemia. In quei giorni – ha spiegato Fratel Alberto – abbiamo ripreso la lettura dell’enciclica di Papa Francesco, un capitolo al giorno. E lo abbiamo fatto anche a seguito delle dichiarazioni dei climatologi dell’ONU del 2018 che affermavano come i cambiamenti climatici fossero dovuti alle azioni umane. Abbiamo deciso di fare qualcosa, di dare il nostro contributo alla sfida ambientale». È stato allora che i missionari comboniani – guidati da Fratel Alberto – hanno deciso di creare un itinerario all’interno dell’area verde che circonda la loro casa, alle porte di Roma, in zona Laurentina: un terreno che da sessant’anni curano, abitato da animali e varie specie di piante.
Il percorso, diviso in sei tappe, prevede un’esperienza sensoriale, un approfondimento informato e la proposta di impegni di azione. È declinato a seconda degli ‘ospiti’, che si tratti scuole o di famiglie: «Tentiamo di personalizzarlo per fare in modo che chi visita il parco goda appieno dell’esperienza. È un invito a rigenerare la nostra relazione con il mondo e la natura» ha precisato il missionario.
Ci incamminiamo anche noi. La prima tappa è già di impatto immediato. ‘Tutto è connesso’, recita il cartello che indica il punto di partenza. «Riscoprire il legame con la terra è molto importante – ha spiegato Fratel Alberto – un legame che i popoli indigeni sentono in maniera molto forte, sono molto connessi con la natura e puntano tanto sulla giustizia climatica e sulla decolonizzazione dell’azione ambientale». È a questo proposito che Fratel Alberto – già missionario in Kenia per diciotto anni – ha raccontato dell’impegno delle popolazioni indigene, artefici di aver creato un fronte comune per proteggere l’ambiente naturale e anche l’ambiente culturale. Una filosofia che si pone alla base dell’ecologia integrale, principio cardine della connessione tra la natura, l’economia, il sociale e gli altri aspetti del vivere quotidiano. «Non si può capire l’inquinamento se non si studia il sistema economico, se non si studiano le abitudini, i consumi. Quando il capitale sociale viene eroso, vengono meno anche gli aspetti della solidarietà e l’ambiente naturale ne paga le conseguenze» ha spiegato. Dai comboniani anche una riflessione sulle politiche nazionali e internazionali che i governi mettono in atto, soprattutto in risposta alla Conferenza sul clima che si è tenuta a Glasgow nel 2021.
«Il ruolo della presidenza (conferito alla città ospitante) è importantissimo. In quella occasione, la linea era spingere sul privato perché servono investimenti sulla transizione ecologica investire su una crescita significa anche avere un ritorno dell’investimento. Questo modello di sviluppo non è compatibile con un mondo di risorse finite ed è necessaria una visione alternativa che non passa perché non c’è abbastanza pressione sui governi costretti a fare i conti con un consenso elettorale messo a rischio in caso di scelte drastiche come la riconversione industriale» ha aggiunto il missionario comboniano.
La seconda tappa del percorso riguarda l’ecologia integrale. Due parole che non trovano una spiegazione schematica ma che avviano a una riflessione, quella che Fratel Alberto e gli altri missionari stanno portando avanti da tempo. «Abbiamo perso il senso del limite. Esiste l’idea che con i soldi e la tecnologia si può fare tutto: è questo che ci ha portato alla situazione attuale. Bisogna però fare i conti con i dati relativi alle emissioni e agire per contenere i danni dell’ecosistema e contenere l’aumento globale delle temperature entro un grado e mezzo perché se lo oltrepassiamo le conseguenze sono disastrose. Bisogna ridurre i consumi di energia e questo significa cambiare gli stili di vita». Per comprendere il valore delle cose, in questo punto esatto è stato montato un pannello solare che alimenta una fonte di acqua attraverso due vasi e attiva, dunque, solo con i raggi del sole.
Il viaggio continua con la tappa successiva che ha l’obiettivo di spiegare l’impronta ecologica attraverso un test utile a spiegare quanto incida l’impronta di ciascuno sulla natura. «L’alimentazione è senz’altro fondamentale per la vita e la sostenibilità» ha detto Fratel Alberto spiegando come sia di aiuto recuperare il rapporto con la terra e lo fa presentando gli orti in cassetta, l’hotel per gli insetti. Si giunge poi alla lotta alla plastica, già più volte invocata da governi nazionali ed europei. «Alcuni attivisti parlando del ‘diritto alla riparazione’ a fronte di una obsolescenza programmata che implica l’uso, la dismissione e il nuovo acquisto degli oggetti che di fatto porta a consumare. Le grandi aziende dovrebbero garantire il ciclo della riparabilità» ha spiegato. Nel Parco Laudato sì, c’è spazio anche per le quattro R: riduci, riusa, ricicla e recupera. «Non basta riciclare ma è necessario mettere a bando gli oggetti in plastica». Il percorso finisce in un dedalo di mattonelle, incastonate come un labirinto: «Ha una lunghezza di 156 metri, percorrerlo significa riflettere su quanto acquisito nelle varie tappe e mettersi in ascolto del cuore» ha aggiunto Fratel Alberto. «Tutti siamo chiamati alla cura del territorio, dal punto di vista sociale, economico, culturale».
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