I conflitti in atto hanno inevitabilmente monopolizzato l’attenzione politica e mediatica distraendo dalla crisi climatica, che tuttavia resta “la” sfida del presente e delle future generazioni.
Mentre il mondo è teatro di conflitti, tragedie e violenze, sempre più spesso viene da chiedersi quale spazio occupi la questione climatica nell’agenda politica e mediatica. Il conflitto in Medioriente, così come la guerra in Ucraina, sono eventi che abbiamo seguito in tempo reale, e che hanno monopolizzato l’attenzione senza lasciare spazio per altro.
Nel frattempo è come se il dibattito pubblico sull’ambiente si fosse fermato ad aspettare. In momenti come questo, l’urgenza della crisi climatica è chiara e assordante, un fatto di importanza epocale, la sfida del secolo, un’enorme notizia per il futuro dell’umanità, ma non necessariamente la notizia più importante del giorno.
È complicato, a livello cognitivo e non solo, preoccuparsi del benessere delle future generazioni, delle prospettive di vita che avremo nel 2030 o 2050, quando il presente è così marcato da guerre, conflitti, carestie che affliggono milioni di persone. Tuttavia, l’angoscia che proviene dalla crisi in Medioriente ricorda a noi che osserviamo da una posizione più distante, che occuparsi e preoccuparsi di cambiamento climatico, rappresenta un atto di speranza nei confronti del futuro.
Eppure sembra che i media italiani non riescano a comunicare adeguatamente quanto un argomento di origine prettamente scientifica entri dentro la dimensione politica, economica, sociale, ambientale della vita pubblica, e sia una delle sfide più importanti per la nostra epoca e per le prospettive di benessere delle future generazioni.
E allora perché non riusciamo a interessarci al cambiamento climatico e, anzi, cerchiamo il più possibile di distogliere lo sguardo dal fenomeno?
In effetti, psicologi, neurologi e filosofi spiegano che tutti noi abbiamo, inconsapevolmente, dei bias, e cioè dei pregiudizi, delle distorsioni della percezione della realtà, che ci fanno considerare il cambiamento climatico come qualcosa di lontano nello spazio e nel tempo.
Siamo incapaci di immaginare cose di cui non abbiamo esperienza, che non abbiamo vissuto in prima persona. Dopo il Covid siamo diventati, a un costo altissimo, coscienti della nostra vulnerabilità e ora se vogliamo vincere la sfida contro il cambiamento climatico, dobbiamo assicurarci che questa coscienza diventi un elemento permanente del nostro immaginario collettivo.
Di recente un editorialista del Whashington Post si chiedeva come mai – vista la gravità della situazione e le evidenze scientifiche – i media non parlino di cambiamenti climatici tutti i giorni, tutto il giorno.
La risposta, in estrema sintesi, è che si tratta di una tragedia in “slow motion”, al rallentatore, e l’attenzione umana attribuisce molto più valore agli eventi catastrofici che a fenomeni quasi invisibili, anche per questo i giornali e i media tradizionali ne parlano solo in termini sensazionalistici.
Il punto è che oggi il cambiamento climatico non ha più carattere di straordinarietà, perché ormai gli eventi climatici estremi sono all’ordine del giorno, anche qui in Italia, non solo nell’oceano Pacifico.
A livello cognitivo però è difficile collegare tra loro le conseguenze, assegnarle alla stessa causa. Eventi meteorologici estremi, scioglimento dei ghiacciai, incendi sempre più estesi: è difficile comprendere che sono la manifestazione di uno stesso fenomeno complesso, non crisi separate.
Anche per questo la narrazione assume toni apocalittici: soltanto quando un’alluvione, l’esondazione di un fiume, la canicola estiva provocano veri e propri disastri, i talk show si attivano, con il solito servizio che illustra i danni e i soliti politici che ripetono slogan vetusti e argomentazioni banali.
Non se ne parla mai in termini di informazione e di programmazione. Perché non parlare della chimica verde (di cui siamo leader nel mondo), degli impatti della produzione di cibo sulla sostenibilità, dei piani di adattamento per il cambiamento del clima, delle filiere del recupero dei rifiuti che oggi rappresentano l’economia reale? L’elenco è lungo, lunghissimo. Ed è fatto di temi ambientali che trasversalmente toccano ogni ambito della politica del nostro Paese: economia, lavoro, politica estera, innovazione, cultura. Perché oggi tutto è clima e tutto dipende dal clima.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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