Dapprima sono state la Corea del Sud, la Cina e la Città-stato di Singapore a munirsi di un’App per monitorare e contenere l’epidemia da Covid-19. Ora sembra giunto anche per noi il momento di rilasciarne una ufficiale.
Nel nostro Paese, di App in grado di tracciare, tracciarci, monitorare, allertare, rilevare e aggiornare dati in tempo reale si è sentito parlare spesso nelle ultime settimane e dal momento che sembriamo avvicinarci – anche se tra dubbi ed incertezze – ad una Fase 2, le cose stanno accelerando.
“Immuni”, l’App italiana contro il Covid-19
Meno di una settimana fa è arrivata la comunicazione: la nuova App italiana per tracciare il contagio da Coronavirus durante la seconda fase si chiamerà “Immuni”. Il 16 aprile scorso il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri ha disposto, con un’ordinanza, la stipula del contratto per la cessione gratuita e perpetua della licenza d’uso del suo software, selezionato tra oltre 300 proposte da una task force del Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione.
“Immuni” consiste in un sistema di tracciamento digitale (contact tracing) e, secondo quanto scritto sull’ordinanza, può “aiutare a identificare individui potenzialmente infetti prima che emergano sintomi e, se condotto in modo sufficientemente rapido, può impedire la trasmissione successiva dai casi secondari”.
Come dovrebbe funzionare “Immuni”
Intanto c’è da dire che la sperimentazione dell’App avverrà inizialmente in alcune regioni pilota, e poi sarà estesa all’intero territorio nazionale; Domenico Arcuri, Commissario per l’emergenza, auspica “una massiccia adesione volontaria dei cittadini” mentre il Garante della Privacy ha fatto notare che per essere efficace dovrebbe essere impiegata perlomeno dal 60% della popolazione. Dovrebbe funzionare mediante BLE (Bluetooth Low Energy) e “girare” sia su dispositivi iOS che Android.
Una volta installata, rileva la vicinanza con i dispositivi delle persone con cui si entra in contatto. Lo fa attraverso dati che non possono rivelare in modo diretto l’identità di una persona, ma che restano nel dispositivo fino ad un’eventuale diagnosi di contagio. In sintesi, “Immuni” crea un registro dei contatti in cui ci sono tre informazioni: 1) con qual dispositivo si è entrati in contatto; 2) a che distanza; 3) per quanto tempo.
Non si tratta di geolocalizzazione. L’ App esegue il tracciamento degli identificativi criptati dei dispositivi con cui si è entrati in contatto. Ma questo accade solo se entrambi i dispositivi hanno l’applicazione. Se uno dei soggetti che l’ha scaricata risulta positivo al Coronavirus, è il personale sanitario autorizzato dall’interessato, attraverso l’identificativo anonimo dello stesso, ad inviare un alert a tutti gli utenti entrati in contatto con lui.
I dubbi su privacy e sicurezza e la reazione del Copasir
“Immuni”, però, ha suscitato delle perplessità su temi come la privacy e la sicurezza nazionale. A cominciare dal fatto che l’App dispone di un diario clinico in cui l’utente può inserire notizie relative al proprio stato di salute e alla comparsa di eventuali sintomi da Coronavirus. Una mole enorme e complessa di dati. Un terreno molto delicato, che riguarda direttamente i diritti e le libertà costituzionali delle persone, tema che – secondo la Politica – non può essere affrontato solo con lo strumento dell’ordinanza commissariale ma deve essere sottoposto al vaglio del Parlamento.
Proprio da qui è nata una richiesta bi-partisan di avviare un passaggio parlamentare prima che venga diffusa l’app, e verificare se la stessa è in linea con le indicazioni del Garante per la privacy e con il quadro europeo in tema di gestione dei dati.
Motivi questi per i quali anche il Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) potrebbe ascoltare lo stesso Domenico Arcuri ed approfondire con lui gli aspetti di tracciabilità, raccolta e utilizzo di dati sensibili.
Le regole dell’Unione europea
Intanto l’Unione europea ha stilato 8 regole che i Paesi Membri dovranno rispettare se vogliono sviluppare App di contact tracing.
Il primo requisito da soddisfare è il rispetto della privacy.
Da qui deriva ovviamente il secondo: i dati raccolti devono essere anonimizzati, ovvero non deve essere possibile risalire al singolo utente.
Terzo requisito: l’installazione dell’App deve essere volontaria e non imposta.
Quarto: l’App deve essere sviluppata insieme ai Governi.
Per quanto riguarda il quinto, si devono preferire – sempre per questioni legate alla privacy – tecnologie meno invasive (il Bluetooth dunque va bene, ma non il Gps).
Il sesto prevede che venga garantita un’interoperabilità con le App di altri Paesi dell’Unione: in sintesi, se un cittadino dell’Ue si sposta oltre confine l’applicazione deve continuare a funzionare e i dati devono poter essere condivisi.
Per finire, secondo gli ultimi due requisti, il settimo e ottavo, le App vanno sviluppate in base ai migliori standard epidemiologici e devono essere sicure ed efficaci.
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