Gli anni passano, e passano in fretta, li guardiamo mentre si accumulano. Lavoriamo, stiamo bene, siamo piene di energie. Certe volte guardiamo i nostri figli trenta-quarantenni e ci sembrano mosci, demotivati, pigri. Ci sentiamo forti, nel confronto. Chissà come saranno loro alla nostra età. Parlo dei ‘settanta e più’, non dei ‘cinquanta e più’, parlo di quel territorio ancora inesplorato, quello della longevità di massa. Parlo di anni belli, pieni di libertà e di ironia, di coraggio, di capacità d’ascolto, di empatia. Io ci sono – come si dice – “con tutti e due i piedi” in quella condizione odiata e negata da tutti, ma soprattutto da ‘tutte’. Ci sono da poco e mi ci sto assestando mica male. Come me ne ho incontrate tante (quasi tutte donne), presentando in giro per l’Italia il mio Age Pride, sottotitolo: Per liberarci dei pregiudizi sull’età. Alla fine mi portavano in trionfo, tipo “santa subito” perché avevo provato ad accendere una luce rosa nel tetro grigio dei discorsi sul tempo (quello degli orologi e dei calendari, non quello benigno delle stagioni).
Mi sentivo bene perché mi pareva di fare del bene.
E ancora così mi sento quando sottolineo il buono della terza età, del terzo tempo.
Per onestà, però, devo raccontare anche il brutto, i pensieri pesanti, l’ansia e l’angoscia. La disperazione.
Esiste, c’è ed è sempre collegata alla paura delle malattie, la disperazione.
Provate a chiedere in giro. “Che cosa ti spaventa della tua condizione di non-più-giovane?”. Gli onesti e le oneste vi diranno: “ammalarmi”. Il fantasma che avvelena il Terzo Tempo della vita umana è questo: un letto d’ospedale, una casa di riposo dall’inconfondibile odore di medicinali e incontinenza, la dipendenza da figli che hanno altro e di meglio da fare. Peggio: la perdita di orientamento, di memoria, di capacità cognitive. La perdita del rispetto degli altri che si traduce quasi subito in svalutazione di sé stessi.
La riflessione è banale ma inevitabile: è settant’anni che uso questo fegato, non sarà stanco di funzionare? È da ottant’anni che i miei occhi leggono, guardano, vedono – anche se con lenti sempre più spesse -, potrebbero mollarmi da un momento all’altro, gettandomi nel buio totale.
C’è chi teme la famigerata frattura del femore, anticamera di ospedalizzazioni terminali. C’è chi si preoccupa del cuore, della pressione troppo alta o troppo bassa. Chi ad ogni crampo pensa all’ictus, ad ogni bozzetto al cancro, ad ogni ispessimento cutaneo al melanoma. Ma su tutti svettano quelli fissati con il morbo di Alzheimer, la demenza “ladra di cervelli”, come la definisce il dottor Scoppetta, primario neurologo, animatore di un importante studio sulla genetica della demenza. I terrorizzati dalla perdita di memoria, intelligenza, capacità di mettere in relazione dati, di articolare pensieri, di pensare, di leggere, di parlare, sono più di quanti immaginiamo.
Praticamente tutte le persone che ho intervistato hanno situato il loro terrore primario nel sopravvento della demenza.
Ad ogni vuoto di memoria, è un trasalimento doloroso, quasi sempre scatta il panico.
Il dialogo si scompone: “Ma l’hai visto il film di… come si chiamava… quello che ha vinto l’Oscar… coso, hai capito chi, no?”. La sventurata risponde: “Sì, sì, quello, certo”, ma il regista del film non viene nominato neppure da lei, perché neppure lei se lo ricorda. Dopo un attimo di imbarazzo, le due amiche scoppiano a ridere e nominano l’innominabile.
Mister Alzheimer. Si tratta dell’invecchiamento dell’encefalo, mi pare.
E pare che sia inevitabile.
Incomincia con il moltiplicarsi delle amnesie? Incomincia il giorno in cui dimentichi dove stavi andando e resti seduta in macchina, mentre tutti i clacson urlano attorno a te e ti viene voglia di piangere, invece devi guidare?
Finirai come tuo padre che, due anni dopo la morte di tua madre, si era scordato di essersi mai sposato?
L’angoscia corre dentro e fuori di te.
Ti batte il cuore, ti aggrappi ai sette re di Roma, ai sette nani, ai cinquantadue stati del Nord America.
Provi a recitare questi elenchi impigliati in un passato di neuroni giovani e noia scolastica, scopri che non te li ricordi tutti e telefoni al tuo medico, perché ti prescriva qualsiasi pozione capace di rappezzarti la memoria.
Lui ascolta. Scoraggia. Saluta.
“All’età di 75, 80,85 anni qualche difficoltà di apprendimento, lievi disturbi di memoria, qualche disturbo di equilibrio e un po’ di lentezza e maldestrezza sono da mettersi in bilancio”, scrive il dottor Scoppetta.
Finché si viveva meno erano più alte le possibilità di restare in forma, intellettualmente e fisicamente. La morte arrivava improvvisa. E parecchio prima.
Oggi la vita può essere molto lunga. Quindi il deterioramento minaccia tutto il nostro corpo. A partire dalla testa, sede di tutte le mie gioie (studiare, scrivere, capire). Reagire con l’ipocondria, ingozzarsi di medicine, sottoporsi a controlli costanti disturbando ogni organo, secondo me, è pericoloso come tutte le superstizioni.
È più importante prevenire o vivere?
Per rispondere a questa domanda vi do un mese di tempo.
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