Il telefono squilla, il telefono di casa, quello che non squilla quasi mai perché ormai i cellulari l’hanno soppiantato. Olivia afferra la cornetta già un po’ preoccupata. Al suo “Pronto chi parla” una voce risponde con un “È lei la signora Olivia X? Sono Carmine Y, non si ricorda di me? Sono l’avvocato amico stretto della vostra nuora, sono quello che le ha fatto avere quel bel rimborso per l’incidente di motorino di vostra nipote, Marta. Eh, si ricorda?”.
Olivia non ricorda. Sua nipote non si chiama Marta, bensì Maria Luisa. E sua nuora non le ha mai presentato un avvocato.
Eppure Olivia resta in ascolto, e non dice “Lei chi è”, non dice che non esiste nessuna Marta. Non dice che non c’è stato nessun incidente di motorino, fra l’altro Maria Luisa ha 11 anni e in motorino, per fortuna, ancora non ci va. Non dà corpo a nessuna delle sue perplessità, però, Olivia, perché ha ottantatré anni, è soggetta a vuoti di memoria frequenti, di cui – chissà perché – si vergogna come una studentessa impreparata. E ha imparato a far finta di ricordare.
Lo sconosciuto Carmine le impasta tutta una storia sul suo nipote più grande che avrebbe messo sotto con la macchina un ciclista, non si sarebbe fermato a soccorrere la vittima e sarebbe al momento in stato di fermo e il fermo si sarebbe trasformato in arresto se nessuno avesse pagato il silenzio dell’investito, che stava al momento in ospedale.
«Mio nipote Matteo?», chiede sbalordita Olivia.
«Matteo, sì certo, proprio lui».
Il nome gliel’ha fornito lei su un piatto d’argento, ma non ci fa caso.
Tutto le sembra improvvisamente reale, perché Matteo, che ha la patente da due anni, incidenti ne ha già fatti tre, così quando Carmine le chiede di fargli avere cinquemila euro, Olivia va in banca e li preleva.
Poi si reca, dominando l’ansia, all’incontro con questo strano avvocato nel bar vicino alla banca. È un puro colpo di fortuna che, proprio in quel momento, un attimo prima dell’incontro fatale con versamento di soldi, proprio in quel bar Giorgia, la nuora di Olivia, stia prendendo un caffè con un’amica.
Olivia trasecola: «E tu te ne stai qua a chiacchierare mentre Matteo sta in un guaio?». Giorgia si fa raccontare tutto.
Carmine che è appena fuori dalla porta a vetri le vede confabulare e si allontana di qualche passo. Giorgia si fa dare da Olivia la busta col danaro e chiama i carabinieri.
Lieto fine, questa volta.
Cioè, non così lieto: Olivia quella notte non ha dormito, ha pianto. Si è sentita stupida, incapace di vivere, infantile. Ha pensato che da quando è morto suo marito, il mondo le fa paura, le fanno paura gli altri, le pare di non essere più in grado di gestire la relazione con loro. Sono dunque tutti cattivi?
Suo figlio e sua nuora hanno cercato di consolarla. Le hanno detto che è una dei tanti, delle tante, dei troppi anziani raggirati. Il crimine è particolarmente disgustoso perché approfitta di due sentimenti: l’amore per i nipotini, la solitudine. E conta sullo smarrimento, sull’ingenuità, sull’ansia, sul bisogno di sentirsi utili. Ai figli, ai figli dei figli.
La longevità, coniugata con la crescita zero, ha trasformato l’Italia in un Paese di vecchi.
E le truffe che raggirano e derubano gli anziani sono in crescita esponenziale.
Sono in crescita i costi della sanità, perché il 23,8% degli italiani ha più di sessantacinque anni. Perché la vita dura, ormai, 86 anni per le donne e poco meno per gli uomini. E purtroppo, quando si invecchia, il corpo, quasi sempre, presenta il conto. Dovrebbero esserci Case della Salute sparse ovunque, in ogni quartiere. Dovrebbero lavorarci giovani medici e infermiere e infermieri che hanno seguito corsi di specializzazione psicologica, che sanno sorridere e ascoltare, consigliare e sconsigliare, e soprattutto – instancabilmente – spiegare. Perché è terribile essere messi a confronto con il mistero del corpo, senza nessuno strumento di giudizio, ti porta ad ingigantire un piccolo dolore, a immaginare il peggio, senza altra competenza che la paura. A pensarti spacciata quando hai un piccolo risolvibile problema.
Sarebbe fondamentale investire, in questo momento, nella sanità pubblica, in una sanità capillare e mirata, plasmata sulle necessità anche psicologiche di questa silenziosa vessata maggioranza: i vecchi.
Se fossero lasciati meno soli, sarebbero anche capaci di non farsi truffare. Se fosse meno disprezzata, stigmatizzata e temuta, questa fase della vita (perché si tratta di una fase della vita e non di una punizione) non inviterebbe i peggiori ad approfittarsene. “La più grave patologia della vecchiaia è l’idea che se ne ha”, scriveva il grande James Hillman. Ed è vero. Bisogna partire da lì, influenzare l’immaginario collettivo positivamente, cambiare l’immagine stereotipata della vecchiaia, rinnovarla. Chiarire una volta per tutte che le persone anziane non sono una manica di rimbecilliti che cascano in qualsiasi trappola. Ci sarebbero meno truffe se ci fosse meno disprezzo, meno automatismi denigratori, meno svalutazione. Siete d’accordo?
Lidia Ravera è nata a Torino. Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ha pubblicato trenta opere di narrativa tra cui “Porci con le ali” (Bompiani 1976), “Sorelle” (Rizzoli 1994), “L’eterna ragazza” (Rizzoli 2006), “La guerra dei figli” (Garzanti 2009) e “A Stromboli” (Laterza 2010). Gli ultimi romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti”, “Il terzo tempo”, “Avanti, parla” sono nel catalogo Bompiani. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.
© Riproduzione riservata