Al via in Senato un testo unico per eliminare l’attuale automatismo che attribuisce al nuovo nato il cognome paterno. Dopo la riforma del diritto di famiglia nel ’75, un altro colpo di spugna alla vecchia società patriarcale.
Il 15 febbraio, in Commissione giustizia al Senato, è iniziato l’esame delle diverse proposte di legge che nel tempo si sono succedute per concedere ai genitori la libera scelta del cognome dei propri figli. La speranza, afferma la ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, è giungere quanto prima ad una legge sul doppio cognome. Soprattutto dopo la bocciatura della Consulta, che definisce l’attuale sistema come “patriarcale”.
Perché una legge?
Nel nostro Paese non esiste di fatto una norma ad hoc che stabilisca l’attribuzione del cognome al nuovo nato. Piuttosto la decisione di propendere in automatico per il cognome paterno è “implicita” e deriva dall’interpretazione di una serie di norme che la presuppongono. Tra queste, l’articolo 262 del Codice Civile, “Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre”. La Corte Costituzionale in passato è intervenuta più volte sulla questione. Già l’11 febbraio del 2021, sottolineava in un’ordinanza che la disciplina attuale non solo pone una disparità tra i genitori, ma colpisce anche “il diritto all’identità del minore”, negandogli la possibilità di essere conosciuto anche con il cognome materno. E lo scorso 27 aprile, è giunta al punto di dichiarare illegittima perché “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio” la regola che attribuisce automaticamente il solo cognome paterno. D’ora in poi i neonati avranno il nome di entrambi i genitori o solo quello della madre.
Un passo avanti verso l’uguaglianza di genere
Finora l’unico modo per concedere al nuovo nato di portare entrambi i cognomi era ricorrere ad una procedura amministrativa del Ministero dell’Interno. Ma solo con l’accordo di entrambi i genitori, uniti in matrimonio. In ogni caso il cognome del padre aveva la precedenza e l’ordine non poteva essere invertito. Finalmente però il lungo percorso iniziato dalla Consulta sfociava il 28 aprile scorso in una sentenza storica del Tribunale di Pesaro. Il giudice, infatti, per la prima volta, ha accolto il ricorso della madre di un minorenne che chiedeva il riconoscimento anche del suo cognome per il figlio, nonostante l’opposizione del padre. Una sentenza che è di fatto un importante passo in avanti verso la parità di genere. La palla passa ora al Senato, al quale spetta di formulare una legge ad hoc, che recepisca queste nuove direttive.
Negli altri Paesi
Del resto in molti Paesi la questione è già normata da tempo. In Francia e in Belgio i genitori scelgono insieme il cognome da attribuire al figlio e, in caso di mancato accordo, si appongono entrambi i cognomi in ordine alfabetico. Situazione analoga in Lussemburgo, dove, però, al disaccordo si rimedia con il sorteggio. Mentre nei Paesi del Nord, come Danimarca, Norvegia e Svezia – e in Austria -, senza una dichiarazione genitoriale, lo Stato appone il cognome della madre. La Spagna e l’America Latina, invece, seguono il principio del doppio cognome. Nel Regno Unito, in Canada, Australia e Nuova Zelanda la scelta è lasciata liberamente ai genitori, che possono scegliere tra i loro cognomi o, addirittura, optare per uno diverso.
Un’eredità patriarcale
A qualcuno tanta importanza verso una questione apparentemente frivola, appare esagerata se non inutile. Ma ciò che viene etichettato come una semplice “tradizione” riflette, per tornare alle parole dei giudici togati, l’impianto di una “società patriarcale”. Erede del diritto romano che riconosceva al pater familias (ossia al padre) un potere assoluto su moglie e figli. Il solo cognome paterno, affermava già nel 2006 la Corte Costituzionale, “è il retaggio di una tramontata potestà maritale, non più coerente con il valore costituzionale dell’uguaglianza uomo donna”. Oggi, dopo una condanna della Corte dei diritti umani nel 2014 – perché “dare ai figli il cognome della madre è un diritto” – l’Italia si avvia sulla strada degli altri Paesi europei.
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