Ictus, basta tabù: bisogna parlarne, senza paura, senza vergogna. Lo ha detto chiaramente Andrea Vianello nel suo ultimo libro Ogni parola che sapevo uscito per Mondadori.
L’ex direttore di Rai3, noto giornalista e conduttore di programmi televisivi di successo (Mi manda Rai Tre), lo ammette, è vero, la sua esperienza è stata un incubo, un’odissea, un affronto spudorato alla sua natura più profonda: lui che ha costruito la sua carriera e la sua personalità sulla capacità di parlare si è ritrovato all’improvviso senza riuscire a pronunciare neanche il nome dei figli.
Ma la sua è anche una testimonianza positiva, che infonde speranza: grazie ai farmaci, ai programmi di recupero, alla forza di volontà e al sostegno dei propri cari, la vita dopo l’ictus può riprendere ed essere ugualmente degna di essere vissuta. Anzi può essere una bellissima riscoperta. E sarebbe un vero peccato se, una volta recuperata la salute, la qualità della vita venisse compromessa dalla depressione.
Purtroppo accade spesso: per chi ha subìto un ictus aumenta del doppio il rischio di soffrire di depressione. Il problema è che ancora non si è ben capito quale sia il trattamento più efficace per curare la depressione post-ictus. Le opzioni sono diverse: psicofarmaci, psicoterapia, stimolazione cerebrale non invasiva. Quale di queste funziona meglio?
Se lo sono chiesti gli autori di uno studio che ha messo a confronto i risultati delle diverse strategie di intervento, scoprendo che l’approccio terapeutico ideale non è uno solo, ma una combinazione di interventi: farmaci insieme ad altre terapie, come psicoterapia e stimolazione cerebrale non invasiva. Quest’ultimo trattamento consiste nell’erogazione di una debole corrente elettrica in una zona della corteccia cerebrale per regolare l’attività neuronale.
«La depressione può influenzare negativamente il recupero e compromettere i benefici della terapia dopo l’ictus. Molte persone non ricevono i trattamenti giusti perché il loro disturbo spesso non viene diagnosticato o viene trattato in modo inadeguato», scrivono i ricercatori.
Secondo le indagini epidemiologiche, il 25% delle persone che ha avuto un ictus non viene sottoposto ad accertamenti per valutare l’eventuale insorgenza della depressione. Inoltre, solo il 60% delle persone con una diagnosi di depressione riceve un sostegno adeguato dopo le dimissioni dal’ospedale.
In Italia, da molti anni, è attiva l’associazione Alice Onlus (Associazione per la la Lotta all’ictus cerebrale) impegnata in campagne di prevenzione e informazione. Recentemente è stato lanciato il “Progetto Counseling post-ictus: tra riabilitazione e supporto consapevole”, l’iniziativa proposta dall’associazione per “offrire un momento di confronto tra le persone colpite da ictus cerebrale, i loro familiari e gli operatori sanitari che si occupano della fase acuta della malattia e dell’assistenza in ambito riabilitativo”.
Il progetto ha previsto una serie di incontri con fisioterapisti, logopedisti e psicologi durante i quali vengono offerti chiarimenti e consigli sulla gestione del post-ictus, coinvolgendo direttamente quattro strutture di riabilitazione: l’Istituto Clinico Quarenghi di San Pellegrino Terme, l’IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (MI), l’AOU Ospedali Riuniti di Ancona e il Policlinico di Bari che hanno dato la loro disponibilità al progetto pilota.
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