Il “Bonus psicologo” non basta. Dobbiamo ripartire dalla salute sociale, smettere di vittimizzare i giovani e rivedere piuttosto i nostri stili relazionali e i modelli educativi, rivalutando l’apporto attivo degli anziani. Non è morale, è scienza. A colloquio con Nicoletta Gosio, psichiatra e psicoterapeuta
Alcuni lo chiamano “long Covid della mente”, altri “psicopandemia”, altri ancora – guardando in particolare a come il virus è circolato nel nostro Paese – “quinta ondata dei disturbi psichiatrici”. Quel che è certo è che c’è un’emergenza nell’emergenza che non potrà finire per legge: è quella del disagio psicologico provocato o acuito dal Covid-19. L’effetto meno evidente eppure più profondo di quella che ormai è la sindemia da Covid-19, un malessere diffuso e onnivoro che si nutre della sinergia fra più pandemie: sanitaria, economica, sociale, culturale, psicologica, umana. A due anni dal primo lockdown, abbiamo analizzato questo fenomeno con Nicoletta Gosio, psichiatria, psicoterapeuta e autrice.
I numeri non lasciano spazio a dubbi: la pandemia ha messo in pericolo la nostra salute mentale. Fra le più recenti ricerche scientifiche sul tema, uno studio pubblicato sul British Journal of Medicine ha registrato che nei pazienti Covid il rischio di disturbi mentali cresce del 60% rispetto a chi non ha contratto l’infezione, mentre quello di perdere funzioni cognitive – ad esempio la memoria, il linguaggio, la programmazione del movimento – è addirittura più alto dell’80%. «A un livello più generale e diffuso – osserva la dottoressa Gosio -, sia pure sempre nella variabilità legata a fattori sia soggettivi che psicosociali, penso che tutti abbiamo accusato ripercussioni emotive a fronte di una minaccia sconosciuta e incombente che ha costretto a un brusco cambiamento di vita, e alla quale non eravamo preparati. La paura, col risveglio di angosce di morte, il senso di impotenza e di incertezza dominanti, ma forse ancor più l’isolamento, l’interruzione dei rapporti sociali, sono le condizioni fondamentali che hanno messo a dura prova i nostri equilibri emozionali. Credo, però, sia importante riconoscere che in termini di salute mentale il prezzo che paghiamo oggi non è dovuto soltanto alla pandemia, ma in larga misura è condizionato da criticità e fragilità preesistenti, che gli eventi recenti hanno fatto emergere e amplificato». Criticità e fragilità che la dottoressa Gosio aveva già approfondito nel suo ultimo libro, Nemici miei, pubblicato da Einaudi nel 2020.
«In apparenza – ci spiega -, in una prima fase sembrava prevalere la rinascita di un sentimento di comunione. Purtroppo siamo arrivati alla pandemia con un carico di relazioni già molto improntate ad egoismi, intolleranze reciproche, rabbia in risposta a ogni difficoltà o insoddisfazione. Su questo terreno ora si innestano nuove divisioni – basti pensare alla tematica dei vaccini – nonché, in aggiunta, una generale fatica a ristabilire rapporti sociali».
Fra i disturbi più diffusi: “Ansia, somatizzazioni, depressione – segnala la psichiatra -, ma anche insonnia, irritabilità, abuso di sostanze e dipendenza da internet sono in forte crescita. Tra gli adolescenti, poi, si registra un marcato incremento di condotte autolesive e disturbi del comportamento alimentare. Certamente – sottolinea – occorre una grande attenzione ai segnali di sofferenza psichica, ma dobbiamo stare attenti a una tendenza, anche questa già in atto in tempi pre-Covid, a fare ricorso a diagnosi cliniche per dare un nome al dolore e al malessere esistenziale, spostando magari sul piano sanitario problematiche di altra natura, e che necessitano di altre risposte».
Se poi guardiamo alle categorie sociali: «Nell’accrescere il rischio giocano un ruolo fondamentale condizioni particolari e vulnerabilità di base: ad esempio, abbiamo visto le donne più esposte alla violenza domestica, gli anziani, e nondimeno i giovani, alle ripercussioni della solitudine, le fasce economicamente più disagiate a maggiori tensioni. Tra i più esposti – prosegue – certamente ci sono i pazienti affetti da severe malattie psichiatriche. Mi sembra importante poi menzionare la categoria degli operatori sanitari, all’interno della quale si registrano disturbi legati sia al sovraccarico fisico ed emotivo che alle richieste e ai segnali di ostilità che purtroppo sono rapidamente ricomparsi».
Per fronteggiare la crescente fragilità psicologica, il Parlamento ha introdotto il “Bonus psicologo” nella legge di conversione del “Decreto Milleproroghe” (D.L. n. 228/2021). Finanziato con 10 milioni di euro per il 2022, il bonus potrà essere richiesto da chiunque abbia un Isee non superiore a 50mila euro per pagare sedute di psicoterapia presso specialisti accreditati. Il contributo avrà un importo variabile, fino a un massimo di 600 euro per persona. «È una misura di cui non sono ancora state definite con precisione le regole – osserva la dottoressa Gosio -, perciò è difficile esprimere un giudizio pieno. Non voglio certo contestare che possa rappresentare un aiuto concreto, tuttavia credo che il discorso sulla psicoterapia debba essere affrontato nel contesto di una revisione strutturale delle prestazioni offerte dai servizi di salute mentale. Non dobbiamo illuderci che una manciata di sedute possa essere risolutiva di problematiche psichiche che richiedono ben altre tempistiche. D’altro canto – continua – non si deve confondere un percorso di cura per patologie psichiche con interventi che rischiano di assumere una valenza blandamente assistenziale e di conforto, col rischio, ancora una volta già da lungi paventato, di trasformarci in una società di badati e badanti. Ciò che mi sembrerebbe auspicabile è piuttosto un maggiore confronto tra conoscenze specialistiche e organismi sociali, in un’ottica di reale prevenzione del disagio psichico».
Quel che è certo è che la crescente attenzione ai disturbi della mente è una novità non solo normativa ma culturale per il nostro Paese, fanalino di coda in Europa per i servizi di salute mentale. Secondo gli ultimi dati Eurostat disponibili, aggiornati al 2019, l’Italia è l’ultima in UE per posti letto nei reparti di psichiatria: 8 ogni 100mila abitanti a fronte di una media europea di 73. Una situazione confermata dai dati nazionali: secondo l’ultimo Rapporto salute mentale pubblicato dal Ministero della Salute, nel 2019 il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica territoriale e ospedaliera è stato poco più di 3,3 miliardi di euro. Neanche il 3% della spesa sanitaria complessiva che, secondo il Documento di Economia e Finanza pubblica 2021 (DEF), è ammontata nel 2019 a 115 miliardi di euro. A fronte di 603.856 operatori dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, nel 2019 il personale all’interno delle strutture operative psichiatriche pubbliche è stato pari a 28.811 unità. Dei 190mila posti letto per degenza ordinaria, solo 4.046 sono stati dedicati ai servizi psichiatrici diagnosi e cura.
Il funzionamento dei servizi per la salute mentale in Italia è un tema vasto e complesso, sottolinea la dottoressa Gosio. «Da molto tempo i nostri servizi per la salute mentale soffrono di una grave carenza di risorse, sia economiche che di personale specializzato, che ha progressivamente orientato gli interventi sull’urgenza-emergenza. Ci sono ancora molte carenze, specie nell’area della residenzialità e dell’assistenza alle famiglie di pazienti gravi, mentre nuovi bisogni – pensiamo solo alla problematica delle dipendenze – richiedono risposte più articolate e integrate, a partire dagli organismi politico-istituzionali. C’è però molto da fare e da ripensare anche all’interno della comunità scientifica e professionale per avvicinarsi alle esigenze di una clinica in trasformazione, ad esempio, implementare l’integrazione tra interventi farmacologici e psicoterapeutici».
Ma non basta. «Non possiamo pensare soltanto di rincorrere con cure specialistiche i danni mentali che produciamo attraverso stili di vita e modalità di relazionarci gli uni agli altri che di per sé producono sofferenza. Non è un discorso morale o genericamente psicologico – evidenzia la psichiatra -, è la scienza stessa ad averci dimostrato la necessità, l’importanza cruciale delle relazioni interpersonali per lo sviluppo della mente e la salute mentale stessa».
Per salvaguardare la nostra salute mentale e quella di persone particolarmente fragili, «penso che si debba ripartire dalla salute sociale – evidenzia la psicoterapeuta -, in particolare proprio quando parliamo di giovani e delle loro fragilità, che sono in realtà espressione delle debolezze e delle mancanze di noi adulti. Dipingerli come vittime o malati destinati a portare a lungo i segni della pandemia – a tale proposito mi sembra orribile la definizione di “Generazione Covid” – significa in realtà gravarli di sfiducia ed eludere la fatica di impegnarci in una revisione critica dei nostri modelli educativi e stili relazionali. In questo senso ritengo che si tratti non solo di un compito, ma anche di una vera e propria opportunità di rivalutare l’apporto degli anziani. Il loro coinvolgimento è prezioso tanto per le generazioni più giovani quanto per loro stessi, per la valenza protettiva che il senso di appartenenza e l’attività comportano sul benessere psicologico, in particolare nell’età avanzata».
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