Nel mondo, le donne sono una potenza sottovalutata. Potrebbero avere un ruolo chiave per contrastare l’impatto ambientale, ma ancora troppo spesso si cade in stereotipi di genere.
Saranno le donne a salvare il pianeta? Di sicuro sono loro a rivendicare un ruolo in prima linea a difesa dell’ambiente e una maggiore leadership climatica. C’è chi parla di “ecofemminismo”, ma la domanda che dobbiamo porci è un’altra: esiste una questione di genere legata al cambiamento climatico?
Numerosi studi sugli effetti causati dal cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo, hanno dimostrato come le differenze di genere influenzino da un lato, gli impatti e la vulnerabilità, e dall’altro, le opportunità e la resilienza ambientale.
L’assioma è semplice: i Paesi più poveri del pianeta sono oggi i più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale e, in questi Paesi, sono le donne ad essere le più colpite dalle conseguenze del dissesto climatico, in quanto componente più debole della società. Siccità nelle regioni subtropicali, inondazioni sulle alte latitudini, uragani e alluvioni, che ormai si verificano con una frequenza e un’intensità mai viste nella storia del clima, stanno letteralmente trasformando la geografia del pianeta, rendendo inabitabili numerosi territori.
Una delle conseguenze più visibili è l’impatto sulla produzione agricola e sull’allevamento di bestiame, entrambi messi a dura prova dall’aumento delle catastrofi naturali. Ed è proprio in questo contesto che la dimensione di genere non va sottovalutata. Negli ultimi anni, infatti, si è registrato un trend in crescita delle donne impegnate nel settore agricolo. Secondo le stime della Fao, in Africa, le donne contribuiscono al lavoro agricolo in percentuali che variano dal 30% in Gambia, all’80% in diverse parti del Camerun. Inoltre, secondo le Nazioni Unite, sono circa 5,4 milioni le donne impegnate nel settore della pesca.
Tutte attività direttamente legate allo sfruttamento delle risorse naturali. Non solo. Nelle comunità rurali sono le mogli e le figlie a doversi occupare del rifornimento dell’acqua e del cibo, spesso camminando per chilometri ogni giorno. Nei prossimi anni, aumenteranno siccità e desertificazione e le donne saranno costrette ad allontanarsi ancora di più, sottraendo molto tempo all’educazione, alla propria affermazione, alla cura dei bambini. E questa vulnerabilità femminile diventa ancora più evidente nel corso di catastrofi climatiche: a livello mondiale la probabilità che una donna muoia a causa di disastri naturali è 14 volte superiore a quella di un uomo.
Ma c’è di più. Secondo il rapporto Combattere le diseguaglianze rispetto al diritto a un ambiente sicuro sano e pulito, in discussione all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, le donne non solo subiscono di più gli effetti del riscaldamento globale, ma inquinano meno degli uomini. Lo stile di vita maschile provoca infatti il 16% in più di emissioni di quello femminile.
Per questo, le questioni di genere sono entrate negli ultimi anni a far parte del dibattito sul clima. Anche se non bisogna rischiare di cadere nei soliti stereotipi, i potenziali contributi che le donne potrebbero offrire per contrastare l’impatto ambientale sono spesso trascurati, e la leadership femminile viene ignorata a causa di ruoli di genere e consuetudini desuete. Eppure le donne rappresentano un’immensa risorsa inespressa per contribuire a frenare gli effetti nefasti del clima che cambia e a ridurre le emissioni che li causano.
La ricerca dimostra che i Paesi con un’alta rappresentanza di donne in Parlamento, hanno maggiori probabilità di ratificare i trattati internazionali sull’ambiente, le leggi ambientali tendono ad essere più stringenti, gli interventi di politica climatica più efficaci. Certo, per sfruttarne al meglio il valore, alle donne dovrebbe essere garantito un reale accesso al controllo delle risorse e un ruolo nei processi decisionali.
Se è vero che in parte questo percorso è stato avviato e i Paesi hanno iniziato a comprendere il ruolo della parità di genere nell’azione per il clima e a darle il giusto valore, la strada da fare è certamente ancora lunga.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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