Cinque di loro si stanno allenando per scalare l’Everest. Indossano sempre i loro vestiti tradizionali, sopra l’abbigliamento tecnico. Discriminate in quanto donne e in quanto indigene, portano sulle vette il loro messaggio di emancipazione e liberazione. Hanno tra i 25 e i 55 anni.
Perché guardare la cima dal basso, anziché salire su tetto del mondo e ammirarlo dall’alto? A volte basta l’allenamento, per superare la fatica. Altre volte, serve tanto coraggio e una grande determinazione, per abbattere i pregiudizi, passo dopo passo. E le Cholitas Eschaladoras Bolivianas di coraggio ne hanno avuto tanto, per scalare non solo le montagne, ma soprattutto una cultura che le voleva discriminate doppiamente discriminate: in quanto donne e in quando indigene. Per di più, neanche tanto giovani, visto che alcune hanno più di 50 anni. La loro sfida, partita ormai quasi 10 anni fa, è un esempio e una speranza per tutte le donne del mondo: non c’è vetta che non si possa conquistare.
Tanto che, in questo momento, le Cholitas si stanno preparando ad affrontare la vetta del mondo: dopo aver raggiunto, nel 2019, la cima del Monte Aconcagua, la più alta al di fuori dell’Asia, nella prossima primavera scaleranno l’Everest. Naturalmente indosseranno come sempre, sopra l’abbigliamento tecnico, i loro vestiti tradizionali, perché le proprie origini non si rinnegano. Anzi, si valorizzano e si esibiscono con orgoglio.
Ieri e oggi, sempre più in alto
Ma chi sono le Cholitas Eschaladoras Bolivianas? E perché per loro è così importante arrivare sulle vette? “Cholitas”, innanzitutto, era fino a poco tempo fa un termine dispregiativo, con cui si indicavano le donne indigene Aymara della Bolivia. Fino a solo un decennio da, queste donne erano gravemente emarginate: non potevano entrare in alcuni ristoranti, né utilizzare i mezzi pubblici, o accedere alla piazza centrale della capitale, Plaza Murillo.
Poi, sono arrivate loro, le “escaladoras”, a provare a cambiare le cose. Alcune sono mogli di guide boliviane, che accompagnano i turisti, per lo più stranieri, sulle vette delle Ande. Fino al 2015 si sono limitate ad aiutare i mariti nel loro lavoro, come cuoche nei campi allestiti sulle pendici delle montagne, oppure come portatrici, capaci di caricarsi anche più di 20 chili sulle spalle. Lidia Huayllas, una delle fondatrici del gruppo, per 23 anni ha scalato la Huayna Potosí, una delle montagne più impervie del Paese, con i suoi oltre 6.000 metri di altezza. Arrivando, però, solo fino a Campo Alto, a 5.100 metri, dove gli alpinisti trascorrono la notte prima di raggiungere la vetta. Era addetta alla cucina e al trasporto delle attrezzature. “Ogni cliente che scendeva dalla montagna chiedeva a me e alle mie compagne se avessimo già scalato Huayna Potosí, o l’Illimani o qualsiasi altra montagna”. E così cresceva il desiderio e diventava progetto.
Finché, nel 2015, una decina di queste donne si è avventurata per la prima volta fino in cima all’Huayna Potosí. Da allora, non si sono più fermate: armate di picozze e ramponi, colorano le pareti di ghiaccio delle montagne con i loro abiti cangianti.
Verso l’emancipazione, passo dopo passo
Oggi Lidia ha 55 anni, le sue compagne quasi tutte più di 30. “Ci hanno discriminato per molto tempo. Ma per fortuna i nostri mariti ci hanno sempre sostenuto e dalla prima volta che abbiamo detto che saremmo andate ci hanno detto: ‘Certo, tu puoi farlo… Non prestare loro attenzione, puoi farlo’”, raccontano. E così, loro lo hanno fatto e continuano a farlo: “Non solo per le cholitas, ma per tutte le donne della Bolivia, perché serva da motivazione”, spiega Lidia, che ha due figlie, anche loro scalatrici: “Vorrei che lei e le nuove generazioni di donne diventassero sempre più professionali. Ma non solo in montagna, in tutti i lavori. Che le donne contino sempre di più in Bolivia. Questo è il mio grande desiderio”.
Cinque di loro si stanno ora allenando intensamente, sulla Cordillera Real, per portare nei prossimi mesi questo loro messaggio di emancipazione e liberazione fino alla cima dell’Everest, sul tetto del mondo: Dora, Lidia, Cecilia, Elena e Liita, sempre avvolte nei loro colorati abiti tradizionali, saranno accompagnate, in questo ambizioso progetto, da un gruppo di scalatrici nepalesi che le guiderà durante la spedizione. “Noi saremo il primo gruppo di donne indigene boliviane a farlo, e tra le poche donne nella storia alpinistica di questa montagna. Vogliamo che questa sia l’opportunità per costruire solidarietà, forza e condivisione tra le realtà indigene provenienti da diverse parti del mondo”.
© Riproduzione riservata