A nove anni dichiara guerra alla plastica. Ogni giorno, all’uscita da scuola, va a raccogliere ciò che viene buttato. Organizza, nel giro di pochi anni, squadre di pulizia. Sono bambini e bambine. Ci tengono a salvare il mondo.
Alice ha soltanto sei anni quando conosce Magnolio de Oliveira, il famoso ambientalista brasiliano impegnato nella salvaguardia della foresta amazzonica, gli fa una domanda sul ragno più grande del mondo e lui le risponde raccontando le migliaia di varietà di insetti che abitano il polmone del mondo. Alice si appassiona alla necessità di salvare il verde, di nutrire i minuscoli abitanti delle foreste. La sua coscienza ecologista la spinge a usare la borraccia per bere, a fare merenda con frutta e verdura in contenitori riutilizzabili, a improvvisare comizi contro la plastica. I compagni la prendono in giro, la bullizzano. Ma lei non molla. Non mollano, le ragazze green.
Vengono dal Kenia, come Winnie Asiti, classe 1996, da Londra, da Roma, da Parigi, dalla Svezia.
Sono tutte giovanissime, determinate e preoccupate.
Fanno politica innanzitutto con i loro comportamenti, scelte di vita personali e coerenti con il progetto di salvare il pianeta.
Iris è una adolescente francese trapiantata in California. Nel 2003 era appena nata, i suoi genitori temevano di perderla per la spaventosa ondata di caldo che si era abbattuta sulla Francia. Era in corso l’anno più torrido d’Europa dal 1540. Si è salvata, Iris, e ha poppato coscienza ecologista con il latte materno, perciò adesso cerca di sensibilizzare tutti i suoi coetanei, ma soprattutto gli adulti: “bisogna riciclare invece che buttare, camminare invece di prendere la macchina, non mangiare carne se si può farne a meno”.
Perché vi sto raccontando queste storie di ragazzine prodigio che vogliono prendersi cura dell’orbe terracquea? Perché, in quanto non-più-giovane (e da parecchio) mi sento in colpa. Non mi pare di aver fatto abbastanza attenzione all’allarme lanciato dalle menti migliori della generazione di Greta Thunberg, Iris Duquesne, Miriam Martinelli (ripulisce le spiagge “per capire le sofferenze del mare”), Alice Imbastari e tutte le altre. Mi dividono dalla loro età cinquant’anni di vita vissuta distrattamente: pensavo all’organizzazione capitalistica del lavoro, pensavo agli sfruttati, ai più deboli, agli emarginati. Lottavo, ho sempre lottato, per l’emancipazione femminile, di più, per la liberazione delle donne dai cliches che le hanno ingabbiate per duemila anni, da un bel po’ mi do da fare per estirpare gli stereotipi che impediscono di affrontare il trascorrere del tempo con orgoglio e gioia… Non sono certo una che pensa soltanto ai fatti suoi, ma che cosa ho fatto per il clima? Sono riuscita a eliminare la plastica dalla mia vita? Solo in parte. Come me la cavo col riscaldamento? Solo fonti rinnovabili? Mi faccio l’esame di coscienza, prima di affrontare il giudizio delle adolescenti. Non ne esco benissimo. La ragazzina che è in me, e che non riesco a licenziare nonostante l’età, mi guarda con disapprovazione: in realtà, dice, polemica, tu pensi che sarai già morta quando il pianeta finirà sottacqua, ma ti sbagli. L’alternanza nefasta fra siccità e nubifragi sta già uccidendo, minacciando catastrofi e distruggendo le coltivazioni. Non te ne sei accorta?
Se non vuoi pensare alla sorte dei tuoi figli e delle tue nipotine, pensa a te. Diventa un’egoista intelligente!
Lidia Ravera è nata a Torino. Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ha pubblicato trenta opere di narrativa tra cui “Porci con le ali” (Bompiani 1976), “Sorelle” (Rizzoli 1994), “L’eterna ragazza” (Rizzoli 2006), “La guerra dei figli” (Garzanti 2009) e “A Stromboli” (Laterza 2010). Gli ultimi romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti”, “Il terzo tempo”, “Avanti, parla” sono nel catalogo Bompiani. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.
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