Social media e disturbi alimentari: un legame pericoloso. Un’indagine rivela l’effetto dei contenuti dannosi sui giovani. Cosa sono i “Before and After” e quanto pesano anche i pregiudizi nel mondo reale e le difficoltà di accesso alle cure
L’uso massiccio dei social media in Italia, con 42 milioni di utenti e quasi 2 ore al giorno trascorse online, ha un impatto significativo sulla percezione del corpo. Un’indagine di Lilac-Centro DCA su giovani adulti (età media 30 anni) rivela che l’81% ritiene che i social media influenzino il rapporto con cibo e corpo, evidenziando un potenziale rischio per la salute mentale. Tuttavia insidie e pregiudizi trovano largo spazio anche nella vita reale.
Social e disturbi alimentari: i contenuti più dannosi
L’indagine ha messo in evidenza i contenuti social più dannosi in assoluto. Su tutti le foto delle trasformazioni fisiche “Before&After” (34%), i post che normalizzano restrizioni alimentari estreme (24%) e i video “What I eat in a day” (17%). Questi ultimi particolarmente insidiosi perché descrivono le pietanze consumate giornalmente entrando nel merito dell’apporto calorico o nutrizionale.
Un’influenza da non sottovalutare
“È indubbio che i social media abbiano un impatto significativo sul rapporto con il cibo e il corpo, come evidenziano i dati dell’indagine – commenta Giuseppe Magistrale, co-founder di Lilac-Centro Dca –. Tuttavia, è fondamentale ricordare che i disturbi alimentari sono patologie multifattoriali, influenzate da una combinazione complessa di fattori biologici, psicologici e sociali. Ridurre tutto a una sola causa sarebbe fuorviante. Però è altrettanto vero che certi contenuti digitali possono alimentare vulnerabilità preesistenti e ostacolare il percorso di recupero”.
Pregiudizi e incomprensione, un ostacolo alla guarigione
L’indagine evidenzia una scarsa comprensione dei disturbi alimentari, al di là dell’influenza dei social media. Il 63% degli intervistati non si sente compreso da chi gli sta intorno. Davanti ai problemi legati a questi disturbi persistono infatti forti pregiudizi. In particolare, lo dimostrano affermazioni come “è solo una questione di volontà” (ascoltata dal 40% degli intervistati), seguita da “è un capriccio” (12,5%) e “basta mangiare di più” (11%).
Mancano i professionisti per la cura dei disturbi alimentari
Oltre ai pregiudizi, l’indagine rivela difficoltà nel trovare professionisti specializzati in disturbi alimentari (lo testimonia l’80% del campione). Una volta trovata la figura di riferimento, il 67% degli intervistati si è sentito minimizzare il proprio disturbo, con frasi come “il tuo peso è normale, non hai problemi”. Ma anche “mangia di più e vedrai che ti passa”. Questo dato emblematico evidenzia la necessità di una maggiore formazione specifica per i professionisti della salute mentale e alimentare.
Costi e stigma: le barriere all’accesso alle cure
L’indagine evidenzia ulteriori ostacoli all’accesso alle cure. Da un lato la paura di non essere “abbastanza malati” (26%) che allontana il momento della guarigione. Dall’altro i costi elevati delle terapie (19%). I risultati sottolineano l’urgenza di interventi su più fronti. A partire dalla formazione e sensibilizzazione degli operatori sanitari e dalle necessarie campagne di comunicazione per ridurre stigma e pregiudizi. Senza però sottovalutare, nell’era di internet, la pericolosità di certi contenuti online, forieri di comportamenti riconducibili a disordini alimentari.
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