A 60 anni dal crollo della diga gli atti e i documenti del processo vengono inseriti nel Registro della Memoria del Mondo.
Alle 22.39 del 9 ottobre 1963, oltre 250 milioni di metri cubi di terra e roccia si staccano dal Monte Toc riversandosi nel sottostante bacino idroelettrico del Vajont, al confine tra Friuli e Veneto. L’impatto con l’acqua ad oltre 100 km orari provoca un’onda gigantesca che colpisce i paesi di Longarone, Erto, Casso e Castellavazzo. È una strage che conta almeno 1.900 vittime, un numero imprecisato di dispersi, di corpi mai identificati e di sfollati.
Ancora oggi il nome Vajont suscita dolore ed emozione non solo tra chi ha vissuto quella tragedia o la ricorda, ma anche tra i visitatori di quei luoghi, simbolo di una catastrofe annunciata. All’epoca la diga era considerata un capolavoro di ingegneria, edificata però (come attestarono già le perizie antecedenti la costruzione) su un terreno instabile. Gli interessi in ballo e l’intervento tardivo dei tecnici provocarono un disastro indelebile nella memoria del Paese. Ne seguì un processo penale celebrato a L’Aquila e non a Belluno per timore di disordini (i giudici parleranno di legittima suspicione, legittimo sospetto), che riconobbe – a distanza di più di 7 anni – la prevedibilità dell’evento, ma si risolse con due condanne. Oggi finalmente l’Unesco inserisce tutti i documenti dell’Archivio Processuale nel Programma Memoria del Mondo. Del resto, già nel 2008 l’Onu ne aveva parlato come di un disastro causato dal “fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare”.
Nel registro Memoria del Mondo compaiono – tra gli altri – manoscritti persiani, centinaia di migliaia di registrazioni musicali, tradizioni di popoli diversi. Numerose raccolte contribuiscono a raccontare il passato e a promuovere la riconciliazione, come l’assimilazione dei bambini indigeni in Canada o il film sull’Olocausto di Claude Lanzmann Shoah presentato da Francia e Germania. In questo quadro l’iscrizione dei fatti processuali del Vajont si aggiunge alle testimonianze italiane – di tutt’altra natura – già presenti nella raccolta Unesco: la Biblioteca Malatestiana, la Collezione della Biblioteca Corviniana, l’Archivio Storico Diocesano di Lucca, l’Archivio storico dell’Istituto L.U.C.E., il Codex Purpureus Rossaniensis, la Collezione dei calendari lunari Barbanera e l’opera del compositore Antonio Carlos Gomes.
Memorie del Mondo, accessibile online (www.unesco.org/en/memory-world), è un progetto nato nel 1992 per la conservazione del patrimonio documentario mondiale, messo a rischio da calamità naturali, guerre, distruzioni, e dalla fragilità dei materiali audiovisivi. Ad oggi rappresenta un archivio prezioso, ancor più per le giovani generazioni: non può esistere alcun futuro senza la memoria del passato. E nessuna ferita può essere curata senza che sia resa giustizia.
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