Al Quirinale l’indagine di CBM Italia e Fondazione Zancan su disabilità e povertà. E le testimonianze delle famiglie: “Per affrontare la disabilità dei miei figli, io vivo in funzione dei miei figli. Ma come donna, come persona, non esisto più”
Disabilità e povertà sono due condizioni che si rafforzano a vicenda, accompagnandosi quasi sempre a isolamento sociale e abbandono istituzionale. A dimostrare con i numeri quanto tutto questo sia vero, c’è una ricerca, quantitativa e qualitativa, condotta da CBM Italia e Fondazione Zancan, di cui già abbiamo parlato. Recentemente, l’indagine è approdata all’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, dove è stata ufficialmente rilanciata, accompagnata e impreziosita dalle voci di due mamme caregiver.
I numeri della disabilità e povertà
In breve, ricordiamo i numeri più indicativi del legame tra disabilità e povertà: il 62% delle persone con disabilità intervistate dichiara che la propria famiglia non sarebbe in grado di far fronte, con risorse proprie, a una spesa imprevista di 500 euro. Quasi due terzi degli intervistati riferisce che la propria famiglia non può permettersi una settimana all’anno di vacanza lontano da casa. Circa un quarto dichiara che la propria famiglia non può permettersi di mangiare carne o pesce almeno una volta ogni due giorni. Ancora, il 22% non riesce a riscaldare adeguatamente la propria abitazione: questo accade soprattutto tra le persone con disabilità che risiedono nel Mezzogiorno, non fanno parte di associazioni a sostegno della disabilità, vivono in famiglie con basso livello educativo o hanno genitori più giovani.
Per molti degli intervistati, è complicato anche permettersi un’abitazione: 1 su 4 , nei dodici mesi precedenti, si è trovato in arretrato nel pagamento dell’affitto, pari a quasi 6 su 10 di coloro che vivono in affitto. Più di 4 su 10, nell’anno precedente, hanno avuto arretrati perfino nel pagamento delle bollette. Una famiglia su 5 ha difficoltà a comprare il cibo necessario, mentre 1 su 3 nell’ultimo anno non ha avuto soldi per visite, medicinali o altre spese mediche.
Isolamento e servizi inadeguati
La compresenza di disabilità e di disagio economico spesso ostacola la possibilità di fruire di servizi e opportunità. Il 55% delle famiglie degli intervistati possono ricorrere all’aiuto di parenti non conviventi, il 41% conta sui volontari e il 29% su una rete amicale. Da notare la maggiore incidenza dei “volontari” rispetto agli “amici”, che può suggerire la carenza relazionale per una quota non residuale delle persone con disabilità e relative famiglie.
Addirittura, una persona con disabilità su quattro vive in una famiglia che non riconosce alcun attore della rete informale su cui poter contare. Fondamentale la presenza dell’associazionismo: il 45% delle persone con disabilità e le loro famiglie fanno parte di una associazione che le supporta. Di contro, il 70% è privo di rete amicale di supporto (materiale e immateriale) e il 55% non partecipa ad associazioni di supporto alla disabilità: quote che aumentano dove si registra un basso livello educativo.
Le testimonianze di chi vive ogni giorno disabilità e povertà
A tradurre questi numeri in vita vissuta, sono intervenute due madri caregiver, che hanno raccontato l’isolamento, la fatica e le difficoltà, ma anche la forza e la determinazione delle loro battaglie.
Chiara Perucatti ha aperto il suo intervento rivolgendo una domanda a sua figlia Benedetta, che era seduta in platea: “Tu preferiresti stare a casa e percepire una pensione, o andare al lavoro e prendere uno stipendio?’”. La risposta di Benedetta non si è fatta attendere: “Lavorare”. Vuole lavorare, Benedetta. “Sta frequentando un corso di formazione del Comune – racconta ancora la mamma – e ha iniziato un tirocinio, che le consente non solo di imparare meccanismi di relazione sociale in ambito lavorativo, ma anche di stare fuori casa. E questo è fondamentale, perché quando nasce un figlio disabile, la vita di tutta la famiglia si sconvolge: tutto cambia, c’è un prima e un dopo, come se la famiglia stessa dovesse ricominciare tutto. È molto difficile, subito ti rendi conto che non hai e non avrai mai le stesse possibilità delle altre famiglia. Senti gli altri genitori, all’uscita di scuola, che si lamentano per la fatica di dover accompagnare i figli ad attività, mentre tu, con immenso dolore, devi portarlo tra una terapia e l’altra. Per non aggiungere dolore al dolore, piano piano ti chiudi in casa, ti isoli nella tua prigione d’oro. L’isolamento è una forma di difesa, ma se la disabilità ti rende diverso, l’isolamento ti uccide”, ha assicurato Chiara, che ha anche un’altra figlia, Camilla, con una disabilità più grave rispetto a Benedetta. “Bisogna dare le stesse opportunità a tutti: ma per chi ha una disabilità come Benedetta, opportunità ce ne sono; per chi ha una disabilità più importante, spesso non ci sono possibilità”. Di qui l’appello di Chiara: “Noi famiglie disabili – così penso che possiamo definirci – non dobbiamo essere lasciate sole: abbiamo bisogno di aiuto, di essere accompagnate. Solo l’inclusione ci aiuta a sopravvivere alle difficoltà”.
Francesca Mandato vive ad Aversa, insieme ai figli Nicola e Luigi, due gemelli con autismo, che tra poco compiranno 20 anni. “Sono portavoce anche di altre mamme della zona, con cui abbiamo costituito una piccola associazione, per farci ascoltare. Perché è difficile che noi genitori di figli con disabilità veniamo ascoltati. Io sono una mamma sola, single, ho cresciuto i miei figli da sola, tra mille difficoltà. Mi sono dovuta formare, sono diventata tecnico comportamentale, specializzata in comportamenti problema. Quando avevano 3 anni, è arrivata la diagnosi di autismo: non sapevo cosa fosse, non sapevo cosa fare, ho pianto tanto – ha raccontato -. Oggi mi chiedo dove abbia trovato la forza e dove la trovi ogni giorno: non me lo spiego. Non ho appoggi familiari, viviamo in un monolocale, ho sempre dovuto lavorare: se lavoravo, mangiavamo, altrimenti no. Ero nel settore della ristorazione: le aziende non capivano che dovevo conciliare il lavoro con il mio essere mamma sola di due bambini con disabilità. Ho lottato e sono riuscita a ottenere turni più adeguati, ma poi è subentrata un’azienda che addirittura ci cronometrava. Tornavo a casa sfinita, non avevo neanche la forza di guardare in faccia i miei figli. Ho dovuto scegliere e ho scelto: ho lasciato il lavoro. Ora mi arrangio con qualche lavoretto, spesso sottopagato. Quando sei sola e senza aiuti familiari, diventa tutto più complicato. Ed è tutto molto complicato, per me ma anche per tante altre famiglie. Luigi e Nicola fanno tante attività e sono tanto spronati. Frequentano il Liceo scientifico, un corso per pizzaioli, suonano la batteria, partecipano a un progetto di calcio. Ma tutte queste cose sono pagate da me, con fatica e difficoltà. Le progettualità convenzionate sono pochissime. E poi dobbiamo lottare sempre, anche a scuola: ci fanno storie per il diploma, per loro propongono solo l’attestato, ma oggi senza diploma non si può fare nessun lavoro”. È intervenuto Nicola: “Noi ci proveremo, tranquilla”. Francesca si è commossa: “Lo so. E farete un figurone”. La testimonianza di Francesca ha aperto uno squarcio drammatico su una realtà poco conosciuta, che riguarda tanti genitori di figli con disabilità, in particolare tante donne: “Per accettare e affrontare la disabilità dei miei figli, io ho fatto emergere solo la Francesca mamma, io vivo in funzione dei miei figli. Ma la Francesca donna, la Francesca persona, non esiste più”.
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