I dati Istat raccontano di un calo demografico già a partire dal 2021. Ci saranno conseguenze per il nostro Paese? Ne parliamo con Cecilia Reynaud, docente di Demografia presso la facoltà di Scienze Politiche Università Roma Tre
Leonardo, Alessandro e Tommaso, per i maschi. Sofia, Aurora e Giulia, sono invece quelli più gettonati per le femmine. Sui nomi da dare ai figli, gli italiani sembrano avere le idee chiare. Ma le occasioni per fare queste scelte sono già da tempo piuttosto rare e la pandemia le ha ridotte ancora di più: di culle piene in Italia nel 2021 ce ne sono state davvero poche. Gli ultimi dati dell’Istat pubblicati a dicembre 2022 dicono che nel 2021 sono mancati all’appello 4.643 neonati, rispetto al 2020 (un calo dell’1,1% sull’anno precedente). E nel 2022 non è andata meglio: secondo le stime provvisorie di gennaio-settembre le nascite sono circa 6mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2021. Perché? Potrebbero esserci conseguenze per il futuro del Paese? Ne abbiamo parlato con Cecilia Reynaud, docente di Demografia presso la facoltà di Scienze Politiche, Università Roma Tre.
Come mai assistiamo a un calo della natalità? Cosa è successo? E quando è iniziata questa tendenza?
Ripercorriamo a grandi linee l’andamento demografico del nostro Paese nella storia recente. Intorno alla metà degli anni Sessanta, tra il 1964 e il 1969, si è assistito un po’ in tutta Europa al celebre fenomeno del ‘baby boom’. L’Italia ha registrato un incremento del numero delle nascite e dei livelli di fecondità che non si è mai più ripetuto e che purtroppo, possiamo affermarlo senza troppi dubbi, non si ripeterà più. Nel 1964 è stato toccato il picco storico di un milione di nuovi nati. Nel 2021 se ne contano 400mila.
In 60 anni, quindi, si è registrato un calo del 60% delle nascite. Come mai?
Dal picco del ‘baby boom’ in poi, la natalità comincia a diminuire, lentamente ma in maniera incessante e intensa. Il tasso di fecondità, ossia il numero medio di figli per donna, comincia a scendere a partire dagli anni Settanta, proseguendo negli anni Ottanta e Novanta, risalendo leggermente intorno ai ’90, ma si mantiene sempre sotto la soglia di 2,1 che è il cosiddetto livello di sostituzione, quello che garantisce il ricambio generazionale della popolazione. Anche la Francia ha conosciuto una riduzione della natalità negli anni Settanta, ma è riuscita a mantenersi vicina alla quota di 2,1.
Cosa differenzia, dunque, la Francia dall’Italia?
La Francia ha messo in piedi una serie di politiche a favore delle famiglie, puntando su due aspetti: quello finanziario, facendo pagare meno tasse a chi fa più di due figli, e quello dei servizi, come gli asili nido o gli stipendi detraibili delle babysitter, permettendo così di conciliare famiglia e lavoro. Ma ciò che più ha inciso in Francia è un atteggiamento culturale che manca totalmente da noi. Per i francesi, i bambini piccoli sono considerati un bene della società. Il sistema sanitario, per esempio, ha un occhio di riguardo per le donne in età riproduttiva, gli alberghi o i ristoranti accolgono a braccia aperte le famiglie con bambini piccoli. Qui da noi i bambini nei luoghi pubblici sono spesso visti come un disturbo e vengono mal tollerati.
Insomma, l’Italia non è un Paese per giovani?
In realtà, pecchiamo un po’ su tutti e due gli estremi. Anche i servizi per gli anziani hanno indubbiamente delle carenze, ma finora la politica ha sempre agito cercando il consenso delle persone più grandi che sono quelle più numerose nell’elettorato. Speriamo che le risorse del PNRR vengano sfruttate per investire sull’istruzione e sui servizi per i giovani, perché da loro dipende il futuro del nostro Paese, anche perché saranno loro a pagare le pensioni degli anziani del futuro. Bisogna agire in maniera lungimirante e non solo pensando al qui ed ora.
È diminuito anche il numero di nati da genitori stranieri?
L’immigrazione straniera ha permesso negli anni Duemila che il tasso di fecondità in Italia non crollasse. Ma ora le nuove generazioni di stranieri seguono la tendenza del Paese e hanno smesso anche loro di fare tanti figli.
La religione non ha alcun impatto sulla natalità?
È dimostrato che la religiosità non incide o incide molto poco quando c’è un alto livello di istruzione. I dettami religiosi in questo caso hanno un ruolo marginale. Ma il fatto che l’Italia sia uno dei Paesi con il tasso di fecondità più basso del mondo dipende soprattutto dalla mancanza di politiche a sostegno della natalità. E poi, dobbiamo ricordarlo, a tutto questo si aggiunge una cultura, soprattutto nel Meridione, ancora legata a stereotipi di genere per cui le donne si sentono in dovere di rinunciare al lavoro se vogliono fare figli. È vero che mancano i posti negli asili nido, ma è anche vero che molte mamme preferiscono tenere i bambini a casa. In Francia, tanto per far capire la differente mentalità, le scuole sono aperte dalle 8 del mattino alle 6 di sera e le mamme non si sentono in colpa se riprendono i figli ben oltre l’orario scolastico.
Cambierà qualcosa?
Non sappiamo se siamo a un punto di non ritorno. Quel che è certo è che la politica deve fare la sua parte. Sono necessari interventi di aiuto ai giovani e alle giovani donne. Ma è necessario un cambio di paradigma culturale per arrivare ad attribuire la responsabilità della cura dei figli a entrambi i genitori. Finché non ci sarà una reale parità di genere non si faranno molti figli.
© Riproduzione riservata