Gli zuccheri presenti nel sangue possono essere utili a determinare in anticipo il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.
Un nuovo studio del Karolinska Insitutet svedese, pubblicato sulla rivista scientifica Alzheimer’s & Dementia, ha dimostrato che la quantità di zuccheri presenti sulla superficie delle cellule del sangue (glicani) è associata ai livelli di tau, una proteina che contribuisce al funzionamento dei neuroni. Quando quest’ultima non funziona correttamente, come nelle demenze, forma dei grovigli che ostacolano la comunicazione tra cellule nervose, determinandone la morte.
Di conseguenza, secondo gli scienziati, i livelli di glicani nel sangue possono essere utilizzati per arrivare a una diagnosi precoce di Alzheimer. Diversi studi clinici hanno infatti dimostrato che i migliori risultati per il contenimento dei sintomi si hanno quando si interviene alle prime avvisaglie della malattia. Quindi prima che gli accumuli delle proteine tau e beta amiloide comincino a provocare una morte estesa delle cellule nervose.
Diagnosi precoce di Alzheimer: lo studio precedente
Studiando il liquido cerebrospinale, il gruppo di ricercatori svedesi aveva già dimostrato che nei pazienti con Alzheimer esiste un nesso tra i livelli di glicani e quelli di proteina tau. Nella nuova ricerca hanno misurato gli zuccheri con un semplice esame del sangue e hanno evidenziato che i livelli di un particolare componente di questi zuccheri risultano alterati già nelle prime fasi della malattia.
Il campione analizzato e i risultati
I soggetti analizzati sono stati i 233 partecipanti a uno studio svedese sull’invecchiamento dello Swedish National Study on aging and care di Kungsholmen. Ne è emerso che i pazienti con livelli corrispondenti di glicani e proteina tau risultavano due volte più a rischio di sviluppare una demenza tipo Alzheimer.
I primi esami del sangue sono stati eseguiti nel periodo fra il 2001 e il 2004. Successivamente i partecipanti allo studio sono stati seguiti per 17 anni con monitoraggi regolari per valutarne eventuali sintomi, come la perdita di memoria. Dati i risultati positivi dello studio, le analisi saranno ora estese agli altri pazienti registrati in database sull’invecchiamento. Questo permetterà di capire se il marcatore possa diventare a tutti gli effetti uno strumento di diagnosi precoce.
“Dimostriamo che un semplice modello statistico che prende in considerazione i livelli di glicani nel sangue e di tau e i risultati di un test di memoria,può essere usato per predire il rischio di malattia di Alzheimer con un’attendibilità dell’80%, quasi 10 anni prima che appaiano i primi sintomi”, ha dichiarato Sophia Schedin Weiss, tra gli autori dello studio.
© Riproduzione riservata