Sono numeri preoccupanti quelli che vengono associati al diabete di tipo 2 (DT2): nel 2040, in tutto il pianeta, ne soffriranno circa 642 milioni di persone. Tanto che qualcuno l’ha ribattezzata “pandemia silente del terzo millennio”.
Diabete e obesità, due patologie croniche riunite in un solo termine: “diabesità”. Il neologismo è stato coniato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2008 per sottolineare la relazione – dimostrata dalla Scienza – tra un aumento eccessivo del peso corporeo e la comparsa del diabete mellito. La malattia è in progressivo aumento nel mondo, tanto da essere definita la “pandemia silente del terzo millennio”. L’International Diabetes Federation stima che 642 milioni di persone ne soffriranno nel 2040 su tutto il pianeta. In Italia, oggi, sono oltre tre milioni e mezzo le persone con diabete mellito o diabete dell’adulto. Tuttavia, sarebbero molte di più. Per ogni persona con diagnosi nota ce n’è una che ignora di avere la malattia, che nella letteratura medica è definita come diabete di tipo 2 (DT2).
Si tratta di un’emergenza sanitaria e sociale allarmante per una condizione patologica prevenibile con una dieta corretta e un idoneo esercizio fisico, tanto da indurre l’OMS – nel 1991 – a istituire la Giornata mondiale del diabete il 14 novembre di ogni anno. Una data simbolica in quanto si celebra la nascita del medico canadese Frederick Banting, che centouno anni fa scoprì l’insulina.
Il DT2 è una malattia cronica caratterizzata da iperglicemia (aumento della concentrazione di glucosio nel sangue eguale o superiore a 120 mg/dl a digiuno) derivante da un’alterata azione dell’insulina. A lungo termine provoca danni ad occhi, reni, sistema nervoso periferico, apparato cardiovascolare ed è la prima causa – non traumatica – di amputazione degli arti inferiori -, ci spiega Francesco Morelli, specialista in Scienza dell’alimentazione, Cardiologia ed Endocrinologia a indirizzo diabetologico e metabolico.
Il diabetologo, autore di vari bestseller sull’argomento, come La dieta libera (Cairo Editore), giunta all’undicesima ristampa, e il recentissimo Diabesità, pubblicato da Franco Angeli, afferma che nel nostro Paese il DT2 ha fatto capolino nel decennio successivo al secondo conflitto mondiale, quando alle privazioni della guerra si sostituì l’abbondanza. Ed è poi esploso in parallelo con il consumismo sfrenato e la sedentarietà. Pian piano il fisico dell’italiano magro e asciutto tipico dei contadini ha ceduto il posto alla “pancetta” del commendatore. Con conseguenze purtroppo nefaste. Tuttavia – ci dice -, il diabete impiega anni prima di manifestarsi in fase conclamata, dandoci così il tempo di prendere le opportune contromisure preventive.
E qual è il primo segnale d’allarme cui prestare attenzione?
Dobbiamo fare attenzione sin da subito a quegli strati di grasso in eccesso spalmati sulla pancia. Avere qualche chilo in più sulle cosce o sui fianchi è molto meno pericoloso dall’avere la stessa quantità di grasso sul ventre. L’obesità viscerale o addominale, infatti, rappresenta lo “start” di molte delle cosiddette malattie del benessere, con il diabete in testa. In generale, il girovita non dovrebbe superare 102 centimetri negli uomini e 88 nelle donne. L’aumento della circonferenza addominale al di sopra di questi valori può indicare un rischio di ammalarsi di diabete anche in soggetti apparentemente normopeso, ma con una percentuale di grasso corporeo superiore alla media disposta proprio lì in “zona diabesità”. Il tessuto adiposo produce una serie di sostanze, le adipochine, che antagonizzano l’azione dell’insulina prodotta dal pancreas, il cui compito è mantenere stabili i livelli di glicemia nel sangue, instaurando l’insulino-resistenza e aprendo così la strada alla sindrome metabolica.
Di cosa si tratta?
La sindrome comprende disordini del metabolismo glucidico e lipidico e ipertensione arteriosa che, associati all’obesità viscerale, costituiscono un pericoloso insieme di fattori di rischio, definito il “quartetto mortale” per la salute del cuore e delle nostre arterie. Ma la sindrome metabolica, con uno stile di vita corretto – meno calorie e grassi animali, più frutta e verdura e più moto al posto di poltrona e Tv – può regredire. Al contrario, se si perdura con l’eccesso di calorie e la sedentarietà, il diabete diventa cronico. E, una volta che si è “insediato”, il nostro organismo viene “assediato” da alterazioni patologiche sia dei piccoli vasi (microangiopatia) sia dei grandi vasi arteriosi (macroangiopatia), aumentando il rischio di infarto del miocardio, retinopatia, neuropatia e nefropatia diabetica.
Infine, perché secondo lei, il diabete di tipo 2 viene sottovaluto pur essendo una malattia prevenibile al pari dell’obesità?
Il motto “prevenire è meglio che curare” per questa malattia, che accorcia la vita in media di sei o sette anni, è quanto di più esatto si possa dire. Bisogna avviare un’educazione alimentare che inizi dall’infanzia e duri tutta la vita per mantenere il giusto peso che, se si alza l’asticella, è il primum movens di tutta la “filiera”: obesità-sindrome metabolica-diabete. L’obesità poi è malattia difficile da curare. L’obeso vorrebbe togliersi di dosso “il grasso in eccesso” ma lo vorrebbe fare in poche settimane ed è spesso preda della “diet-industrie” e delle false promesse della pubblicità. È bene invece affidarsi a quei medici che abbiano alle spalle una collaudata esperienza della malattia perché l’obiettivo non è solo perdere peso ma mantenerlo tutta la vita, prevenendo così anche il diabete e le sue complicanze.
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