Incurante del trascorrere degli anni, mi impegno a non contrastare il mio karma: sono e resto una eterna studentessa, perpetuamente impegnata nel nobile compito di apprendere, interrogare me stessa e gli altri, accumulare dati, dare spazio ad ogni curiosità, da quelle pettegole a quelle cosmiche. Non più tardi di 15 giorni fa, trovandomi – come mi capita spesso da quando il confinamento causa Covid si è allentato – a presentare il mio ultimo romanzo, Avanti, parla, davanti ad un folto pubblico composto per lo più di persone della mia generazione o di poco più giovani, mi è venuta una gran voglia di essere io, per una volta, a fare una domanda a loro. Ho chiesto: «Che cosa vi fa più paura nell’invecchiare?».
Si è creato un silenzio eccitato e imbarazzato: tutti erano contenti di riflettere sul tema, nessuno aveva voglia di parlare per primo.
Gli uomini erano una minoranza, ma è stato uno degli uomini a parlare subito, a rompere il ghiaccio. «Le malattie – ha detto – gli acciacchi, di questo ho paura, aggiusti di qua e ti rompi di là. L’anno scorso la cataratta, quest’anno la protesi all’anca. La pressione alta. Il diabete… Devo continuare?». Tutti si sono messi a ridere.
Il signore si è seduto soddisfatto di aver provocato una risata. Aveva una notevole circonferenza addominale e certo avrebbe ridotto gli acciacchi perdendo trenta chili, ma non si vergognava affatto del suo aspetto. Noi donne non siamo così fortunate.
La signora che si è cimentata dopo di lui nel rispondere alla mia domanda, era del peso giusto, aveva un caschetto ben curato di capelli biondi, tinti, certo, ma assai gradevoli da guardare. Ha detto: «La solitudine, mi fa paura la solitudine»; l’amica che era seduta accanto a lei (capelli corti, bianchi, folti, ben tagliati) ha protestato: «Ma se sei piena di amiche e anche di amici!». «Lo so, non ho paura di stare sola, la mia paura è che mi piaccia troppo, la solitudine. Mi annoio sempre più facilmente, alle feste, alle cene, ho sempre voglia di tornare a casa. Sul mio divano, a guardare una serie… ce n’è di bellissime. Mi piace stare zitta e mangiare davanti alla televisione. È grave?». «No – ho sentenziato magnanima – non è grave», ma non ero del tutto sincera. Io ho una gran fame di relazioni, e quella fame cresce con gli anni invece di diminuire, sono curiosa come una scimmietta e adoro farmi i fatti degli altri; penso che il pettegolezzo sia la prima forma di narrativa e non reprimo la mia voglia di ascoltare.
Semmai mi sono annoiata di me stessa, ho più voglia di ascoltare che di parlare. E mi piace fare domande. La signora che aveva troppa voglia di stare da sola ha fatto arrabbiare un bel po’ di gente. Eppure, non aveva tutti torti: quando hai accumulato giorni, mesi, anni e decenni di vita è sempre più probabile cadere vittima della ripetizione. Intuisci in fretta che cosa dirà, e che cosa non dirà, la persona che ti sta intrattenendo, per lo più con una dettagliata antologia di fatti suoi, spesso di poco interesse. Il problema è lì: a me interessano le storie.
Sarà una malattia professionale degli scrittori, come la silicosi per i minatori, amare troppo le storie?
Gli unici che mi annoiano veramente sono quelli che mentono, infatti. Anche senza saperlo. Quelli che sono infarciti di stereotipi e nemmeno se ne rendono conto.
Tipo una signora, leggermente rifatta dalle parti delle pinne del naso, che ha dichiarato di non aver paura di niente perché lei sta benissimo, perché è “bella dentro” e ha un compagno che la ama, riamato. Che vuol dire “bella dentro”? Che hai bello lo scheletro?
Da quell’incontro non ho cavato molto altro, perciò mi è venuta voglia di continuare l’inchiesta con voi, lettrici e lettori di questa pagina: che cosa vi fa più paura della vecchiaia? Sia che l’abbiate già raggiunta come me, sia che siate degli imberbi cinquantenni o addirittura dei trentenni, di quelli che leggono di nascosto “Il Terzo tempo” rubandolo alla nonna. In uno dei prossimi numeri daremo spazio alle vostre considerazioni.
Lidia Ravera è nata a Torino. Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ha pubblicato trenta opere di narrativa tra cui “Porci con le ali” (Bompiani 1976), “Sorelle” (Rizzoli 1994), “L’eterna ragazza” (Rizzoli 2006), “La guerra dei figli” (Garzanti 2009) e “A Stromboli” (Laterza 2010). Gli ultimi romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti”, “Il terzo tempo”, “Avanti, parla” sono nel catalogo Bompiani. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.
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