In occasione dei funerali della Regina Elisabetta II, un’analisi sui modelli femminili di leadership, sugli stereotipi che ancora li interessano e sull’importanza della “diversità”.
Fin da bambini siamo portati a pensare al mondo “in bianco e nero”. Esistono, cioè, dicotomie che ci aiutano a governare il pensiero e che solo con l’esercizio possiamo controllare: chiaro o scuro; vecchio o nuovo; bello o brutto; maschio o femmina. Su questa linea si sono sviluppati molti dei modelli culturali che ancora oggi pesano su di noi e che, in certi casi, cominciano a starci stretti. Proprio per questo, sulla stessa linea si sono susseguite le strategie per combattere e riformare i medesimi modelli culturali.
“Contrario di” VS “uguali a”: i modelli femminili nel tempo
Spesso si parte dalla concezione “contrario di”. Prendiamo la figura femminile: quando si tratta di donne persiste la concezione del loro essere biologicamente predisposte alla crescita e alla cura della famiglia. Sono, pertanto, il contrario degli uomini, ontologicamente strutturati per “difendere la famiglia” e quindi affrontare il mondo, il lavoro, rivestire posizioni apicali e prendere decisioni. Le strenue battaglie sulle questioni di genere e di pari opportunità in questo senso hanno portato, almeno nel nostro Paese, ad alcuni pallidi risultati. Siamo passati quindi a considerare le donne “uguali a”: le donne valgono quanto gli uomini, possono fare tutto ciò che è concesso agli uomini e rivestire i ruoli che desiderano. Ma sappiamo bene che ovviamente non è così.
“Never complain, never explain”: il motto della Regina
Le donne che sono riuscite a ricoprire determinati ruoli o a emanciparsi in misura ragionevole sono state, spesso, quelle che hanno dovuto (o voluto) attenersi a un modello prettamente “patriarcale” come unica opzione affidabile e competente. “Never complain, never explain” diceva Elisabetta II, scomparsa l’8 settembre. Mai lamentarsi, mai spiegare. Lei, nata quasi un secolo fa, infatti, ha rappresentato per molto tempo un femminismo che si ispirava proprio all’idea di dover sopprimere i propri istinti e le proprie emozioni in nome dell’istituzione rappresentata. Un’etichetta reale di cui lei si è impadronita, esattamente come avevo fatto suo padre, che non sempre è bastata. Non è bastato dare ai figli il proprio cognome invece di quello del marito (in modo del tutto anacronistico per l’epoca) e tantomeno essere la consigliera di quindici primi Ministri perché, dall’altro lato, ad alcuni è sembrata una madre troppo esigente, in certi casi anche anaffettiva.
Modelli femminili: dalla compostezza di Elisabetta II alle feste di Sanna Marin
Nelle vite delle donne le cui caratteristiche professionali, pubbliche e private si incontrano pesa sempre il giudizio degli altri. Se da un lato Elisabetta II è sembrata a volte troppo composta e troppo posata, dall’altro c’è Sanna Marin, trentaseienne Primo Ministro della Finlandia, che quest’estate è stata protagonista di un episodio spiacevole. Di lei si era parlato già in altre occasioni: prima per una giacca troppo scollata sulla copertina di una rivista, poi per alcuni presunti “sguardi” d’intesa scambiati con Emmanuel Macron a Versailles e, infine, ad agosto scorso per un video circolato in rete mentre si divertiva a una festa con gli amici. Un divertimento che le è costato molti commenti sui social network e che l’ha spinta a sottoporsi volontariamente a un test antidroga poi risultato negativo.
Modelli femminili: essere diversi da…
Viene da chiedersi, quindi, se le donne, anche in Paesi progressisti come la Finlandia, siano davvero viste come “uguali” agli uomini. Ciò su cui bisogna spingere, oggi, è una terza via, quella del “diverso da”. Diverso da una visione che attribuisce qualcosa alle donne solo “perché sono donne” o “perché devono essere uguali agli uomini”. Diversa da una permeante visione mascolina del lavoro, del potere, della responsabilità. Diversa perché sono le donne stesse ad essere “diverse” dagli uomini, a vedere ed organizzare la realtà in modo diverso.
Dopo secoli di visioni politiche machiste, di imprinting culturali a senso unico, se la presenza delle donne in posizioni sempre più apicali all’interno delle aziende, il loro accesso alla carriera e l’acquisizione di posizioni di potere fanno ancora “saltare sulla sedia” qualcuno, facendo notizia, questo vuole dire solo due cose. O si tratta di una condizione ancora troppo inusuale o una parte consistente di questa società non riesce ancora a concepire qualcosa di “diverso”.
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