Margherita Di Carlo. Docente in pensione di Materie letterarie nella Scuola secondaria di primo grado. Si dedica alla poesia e alla narrativa, passione nata fin da giovane, ma intensificata da alcuni anni. Ha partecipato ad alcuni eventi culturali dove ho declamato alcune mie poesie tratte dalla mia silloge “Infinito blu”, altre in vernacolo. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Vive a Menfi (Ag).
L’adolescenza nonostante sia un’età difficile in cui si moltiplicano incertezze, inquietudini, desiderio di dipendenza e nel contempo di autonomia per Ambra, la mia migliore amica, fu invece un meraviglioso periodo di crescita. Era bella, elegante, corteggiata, amata e benvoluta da familiari e amici. Frequentava il Liceo classico con lodevole profitto, era la prima della classe e spiccava per intelligenza e costanza nello studio.
In quegli anni sessanta, quando ancora le ferite della seconda guerra mondiale non si erano del tutto rimarginate, Ambra aveva più di quello che molti suoi coetanei sognavano ardentemente. Abitava in una sontuosa villa circondata da un lussureggiante giardino, curato abilmente da un giardiniere che sapeva ben trattare i numerosi cespugli di rose che Ambra prediligeva fra gli altri fiori. La villa si affacciava sul mare che spandeva il suo profumo fino all’interno delle numerose stanze. Tutto in quella casa mostrava agiatezza e benessere che si traduceva in pranzi e serate con amici, balli, canti e relazioni sociali di un importante livello economico e culturale. Il loro salotto era il centro della vita colta del paese, in cui si ritrovavano scrittori, poeti e letterati, non solo locali, ma anche provenienti da altri luoghi.
Erano gli anni della rinascita economica, e si delineava prepotente l’ascesa della borghesia che si dedicava alle attività industriali, interrotte dalla guerra. Ambra era colta, ma alle riunioni salottiere dei genitori preferiva le passeggiate con gli amici, i pomeriggi danzanti che si organizzavano di casa in casa, le chiacchierate al Club femminile, che era stato voluto dal coraggio di noi ragazze che avevamo sfidato la mentalità un po’ ristretta dell’ambiente provinciale del nostro paese. Io e Ambra eravamo inseparabili e frequentavamo lo stesso gruppo di amici con cui trascorrevamo anche le vacanze estive nello stesso borgo marinaro, a pochi chilometri dal paese.
Gli anni trascorrevano serenamente, chi aveva di più, chi di meno, ma non era la disparità economica e sociale che pesava sul grande sentimento amicale. Ambra aveva anche una bella voce e, nelle serate estive o invernali in cui ci ritrovavamo tutti, ci allietava al ritmo di quelle note in voga nel periodo della nostra gioventù. “Michelle” dei Beatles, “La bambola” di Patty Pravo, “Delilah” di Tom Jones, “ Balla Linda” di Lucio Battisti, erano le sue preferite. Di tutto il gruppo è stata la prima ad avere il televisore in casa, il resto abbiamo dovuto aspettare per qualche anno. Io all’epoca amavo tanto seguire “Domenica è sempre domenica”, programma musicale condotto da Mario Riva, e i miei genitori mi permettevano di andare in casa di un’amica che abitava poco distante da casa mia.
Molti amici del gruppo erano già universitari e dopo l’estate si trasferivano a Palermo per seguire le lezioni. Erano gli anni in cui anche all’Ateneo di Palermo arrivavano gli echi della contestazione giovanile che fino ad allora si era proclamata non violenta, ma ben presto mostrò l’altra faccia, quella degli scontri spietati con la polizia, delle sprangate e delle bottiglie Molotov, a cui si aggiunse anche l’autunno caldo delle fabbriche dove gli operai reclamavano salari più alti e migliori condizioni di lavoro e di vita.
Dopo aver superato brillantemente gli esami di maturità, io e Ambra ci trasferimmo a Palermo, e insieme ad altre amiche abitammo in un collegio nei pressi dell’Ateneo e in pieno centro storico.In quegli anni avvertivo gradualmente in Ambra un certo cambiamento interiore. Spesso mi diceva che il suo benessere materiale non era sufficiente per colmare la sua anima che, a suo dire, bussava fortemente, le chiedeva un qualcosa che non riusciva a capire.
“Mi sento confusa, strana, come se un vuoto dentro di me mi stia risucchiando”, era ciò che spesso mi confidava.
Io tentavo di rassicurarla, ma quella vivacità interiore, quella gioia di vivere che la distinguevano, andavano scemando lentamente.
Sinceramente mi preoccupava tanto il suo stato d’animo e dai suoi discorsi capivo che la ricchezza, l’agiatezza, la rendevano inappagata.
“Ho bisogno di altro”, mi riferiva malinconica.
” Sai, parlane con i tuoi genitori, loro potranno capirti e certamente aiutarti”, le ripetevo spesso.
“No, Madi, sono troppo presi dal loro ritmo di vita e sono certa che non sapranno comprendermi”.
I nostri pomeriggi alla scrivania si trasformavano in riflessioni e argomentazioni che esulavano dalla materia di studio, che faceva parte dei nostri piani universitari.
Un giorno mi disse: “Madi, ho capito in cosa consiste il mio vuoto, e la città di Palermo con i suoi numerosi quartieri poveri, mi ha aperto la strada per colmarlo.”
“Qual è?” le dissi.
“Troppa gente povera in giro, troppi anziani seduti sui gradini delle chiese, in strada a tendere la mano, troppo squallore intorno, ho bisogno di dare loro quello che di materiale in me abbonda. Da tempo accarezzo l’idea di aprire nel nostro paese un centro per anziani”.
“E’ un’ottima idea, ma i tuoi genitori approveranno questo tuo progetto?”.
“Spero di sì, Madi, ci proverò”.
Ogni fine settimana tornavamo in paese e fu in uno di questi che Ambra espose la sua aspirazione ai genitori.
Non fu facile affrontare soprattutto la madre, donna ambiziosa e amante del bel mondo. Ma Ambra non desisteva dall’idea di quel progetto che la rendeva felice, di quella felicità che scaturisce dall’anima e che si può raggiungere solo donando e nello stesso tempo ricevendo dono.
Ambra desiderava liberarsi della materialità che l’opprimeva per raggiungere un livello più profondo della vita. Quel vuoto per essere colmato comportava la crescita spirituale, ecco perché a un certo punto della sua vita non sapeva capire cosa voleva e soprattutto perché esisteva. Finalmente, dopo un lungo travaglio interiore, la mia amica riuscì a diventare una persona in grado di capire sé stessa e quindi anche il mistero della vita umana.
Ambra realizzò quel progetto, a cui partecipai anch’io, e così ritornò a essere la persona serena e appagata che avevo conosciuto e che da tempo mi sfuggiva. Ella riuscì così ad integrare la sfera spirituale e fisica, nella consapevolezza che non si può essere felici soddisfacendo solo una parte di sé, quella esteriore, occorre invece maturare il proprio io senza perdere di vista il resto del mondo e l’educazione che parte da Dio e si materializza in chi soffre.
I genitori, che al momento non compresero il bisogno interiore della figlia, che troppo spesso avevano lasciato in balia di sé stessa, tanto da strapparle inizialmente di mano l’occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprescindibile, infine agevolarono la soddisfazione di quella necessità che sgorgava dalla sua anima.