A Nembro, nella flagellata provincia di Bergamo, in Lombardia e a Bagnolo in Piano (Re) in Emilia Romagna, due volti diversi della pandemia
1. La Fondazione Casa di Riposo, a Nembro, ha vissuto il drammatico decesso di 34 dei suoi ospiti, nonostante le immediate misure preventive. Ce ne parla Valerio Poloni, presidente della Fondazione.
«All’inizio è stata una tragedia per tutti perché la nostra struttura ospita persone anziane che sono residenti di Nembro – racconta a 50&Più il presidente della Fondazione Casa di Riposo di Nembro, Valerio Poloni -, per cui per noi più che ospiti sono amici e parenti. Vivere questa situazione è stato un momento particolarmente drammatico per il personale che ha parenti fra gli ospiti, e per tutta la comunità. Sono decedute 34 persone su 87 ospiti, fra cui il presidente della Fondazione, mio predecessore, e il medico che si occupava della salute dei dipendenti; siamo, quindi, anche rimasti privi di queste figure di riferimento, nonostante le misure preventive».
Come vi siete mossi all’inizio per cercare di contenere l’emergenza?
Noi abbiamo chiuso il 24 febbraio, senza attendere le disposizioni dell’Ats, l’Agenzia di Tutela della Salute, anzi, contravvenendo alle disposizioni del momento che ancora non prevedevano la chiusura, proprio perché ci siamo resi conto di essere di fronte a qualcosa di imprevedibile. E, nonostante questo, abbiamo pagato un prezzo altissimo.
Ci siamo adeguati subito ai dispositivi di protezione individuale per il personale e la struttura è stata sanificata dai militari dell’Esercito russo che ci hanno dato una mano, ma abbiamo vissuto un mese di marzo terrificante, che ha colpito tutta la comunità, anche perché siamo sempre stati una realtà molto aperta e in connessione col territorio.
Quali sono i servizi che offrite come Fondazione?
All’interno della Rsa abbiamo 85 operatori fra medici, infermieri, fisioterapisti, educatori, animatori, cuochi, personale per la lavanderia. Forniamo un’assistenza alla persona a 360 gradi. In più operiamo sul territorio con i servizi domiciliari agli anziani, portiamo i pasti e forniamo assistenza medica e fisioterapia a casa.
La struttura si è dovuta riorganizzare completamente per garantire nuovi standard di sicurezza da quando ha chiuso i contatti con l’esterno e, come racconta la direttrice sanitaria Barbara Codalli, i 54 ospiti attualmente presenti sono stati divisi in due gruppi.
«Da quando abbiamo avuto l’esito dei tamponi che finalmente siamo riusciti ad ottenere per tutti i pazienti e il personale, abbiamo creato una sorta di reparto chiuso per gli ospiti che, pur essendo totalmente asintomatici, sono risultati positivi al test».
Dunque, siete riusciti a fare una mappatura sanitaria completa?
Ci siamo riusciti, ma con tempi molto lunghi rispetto a quanto ci si aspettava. In questa struttura è da marzo che non ci sono più pazienti e personale sintomatici, eppure abbiamo ancora tamponi positivi o debolmente positivi, e questo ci dice che il virus può rimanere addosso per parecchio tempo e non bisogna abbassare la guardia.
Come vi siete organizzati per garantire i contatti fra ospiti e familiari dal momento in cui è scattate l’emergenza?
Abbiamo cominciato con le videochiamate in maniera del tutto spontanea, utilizzando i nostri cellulari. Per gli ospiti che non gradivano il video e preferivano continuare a comunicare al telefono abbiamo usato solo quello. Aggiungo che noi della direzione chiamiamo i familiari regolarmente, così da aggiornarli sulle condizioni dei loro cari.
Adesso stiamo pensando a una forma nuova di riapertura nei confronti dei familiari perché ci rendiamo conto che c’è bisogno, da entrambe le parti, di ritrovare un contatto maggiore. I parenti però non entreranno nella struttura, ma resteranno all’esterno e, attraverso le vetrate aperte, comunicheranno con gli ospiti in modo da garantire la distanza sociale. Il tutto con la supervisione dei nostri operatori. Vorremmo riuscire ad organizzare questi incontri con cadenza settimanale, in aggiunta alle chiamate e alle videochiamate.
Come garantite la sicurezza nell’ambito del lavoro quotidiano?
Abbiamo distanziato gli ospiti il più possibile: a tavola non mangiano in più di due, l’attività educativa e di animazione è stata ridimensionata a rapporto individuale o di piccoli gruppi al massimo di cinque persone, in ambienti ampi e distanza superiore al metro. Ove possibile gli ospiti indossano la mascherina, ma sono pochi quelli che riescono a tollerarla, il personale invece lavora sempre e solo con tutti i dispositivi di protezione necessari.
Quali sono state le reazioni degli ospiti all’emergenza?
Questa è una struttura altamente medicalizzata, e abbiamo pazienti con patologie anche gravi, con tracheotomie e peg, in alcuni casi clinicamente molto compromesse. In pratica, siamo in parte paragonabili a una struttura ospedaliera. In generale all’inizio c’è stata molta paura perché quanto accaduto non poteva passare inosservato, poi abbiamo cercato di lavorare anche per rassicurare le persone e i familiari, e il clima è andato migliorando, ma dobbiamo restare tutti estremamente prudenti.
2. L’immediato blocco degli accessi alla struttura e le severe misure preventive hanno consentito alla Residenza Anni Azzurri, di Bagnolo in Piano (Re), di sbarrare le porte al Covid-19. A raccontarcelo, Daniela Zaccarelli, direttrice della Residenza.
«Chiudere tutti gli accessi dall’esterno il 5 marzo è stato fondamentale – racconta a 50&Più la direttrice della Residenza anni Azzurri, Daniela Zaccarelli -, da allora non abbiamo più fatto entrare non solo i parenti degli ospiti, ma nemmeno i fornitori e i manutentori, se non per casi di estrema urgenza».
Quanti sono oggi gli ospiti e cosa si prevede per il prossimo futuro?
Attualmente abbiamo 57 persone nella residenza, fra i 60 e i 100 anni, tutti non autosufficienti, per una capienza totale di 80 posti letto. Per il momento non abbiamo nessuna indicazione di riaprire le porte all’esterno, dunque sarà un passaggio che non si farà a breve.
Come avete continuato a garantire i contatti fra ospiti e familiari dal momento di emergenza in poi?
I rapporti tra familiari e ospiti sono garantiti sia con telefonate giornaliere sia con videochiamate attraverso i tablet. Anche noi professionisti siamo a disposizione per essere contattati e dare tutte le informazioni sulle condizioni dei propri cari che abbiamo in cura. Da parte delle famiglie c’è stata grande comprensione, anche se inizialmente la chiusura così precoce era sembrata fuori contesto; successivamente si è capito quanto sia stato importante metterla in atto. E comunque non è stato facile, perché abbiamo avuto ospiti che sono entrati nella residenza appena prima della chiusura e quindi le loro famiglie non li hanno più visti in presenza da allora; in condizioni normali procediamo con un inserimento graduale che va avanti un mese. Insomma, l’impatto è stato importante per tutti. Un servizio che abbiamo garantito è stato quello di permettere l’ingresso dei familiari in caso di aggravamento delle condizioni di un ospite, per l’ultimo saluto, ma attraverso un percorso protetto e senza alcun contatto con il resto della struttura.
Ospiti e personale sono stati sottoposti a tampone? Quali sono le condizioni ad oggi?
Sì, tutti gli ospiti e gli operatori sono stati sottoposti a tampone e sono risultati tutti negativi. Adesso stiamo stabilendo una ciclicità nei test, per cercare di ripeterli e monitorare la situazione nel tempo. Una procedura precauzionale che avevamo attivato prima che fossero disponibili i tamponi è stata quella di isolare qualunque ospite avesse anche solo una temperatura superiore ai 37 gradi, anche se con quadri clinici riconducibili non al Covid ma ad altre patologie.
Come vi comportate in caso di nuove richieste d’ingresso?
Indicazione aziendale è ancora zero ingressi, ma siamo coscienti che c’è un bisogno del territorio di svuotare le strutture temporanee nate per i pazienti Covid, quindi ad un certo punto ci verrà chiesto di essere di supporto. Per l’accesso pretenderemo comunque un’analisi del percorso fatto nei periodi precedenti, un tampone all’ingresso, seguito da un periodo di isolamento 15 gg, con un secondo tampone di controllo. Solo in seguito si potrà procedere con l’accesso vero e proprio di un nuovo ospite.
Come garantite la sicurezza nell’ambito del lavoro quotidiano?
Relativamente ai Dpi, di norma siamo tutti dotati di guanti e mascherina e, nei casi di isolamento sospetto, ogni operatore fa la vestizione completa da procedura Covid, con camice, copriscarpe, mascherina ffp2, occhiali e copricapo. Per fortuna, nessun caso sospetto è diventato poi un caso conclamato; in ogni caso, in via precauzionale seguiamo questa procedura. Relativamente al distanziamento abbiamo lasciato libero un soggiorno al secondo piano per dieci persone, sotto la supervisione di un operatore. Gli altri 47 ospiti sono divisi al piano terra fra sala animazione, sala lettura e palestra. Cerchiamo di non lasciarli mai in camera perché l’isolamento sociale è un rischio altrettanto elevato, e garantiamo comunque l’attività ricreativa per piccoli gruppi, con tutti i limiti del distanziamento per alcuni pazienti che vanno seguiti in modo particolare.
Abbiamo anche creato un comitato interno per gestire le nuove procedure e settimanalmente incontriamo tutti gli operatori per confrontarci sugli elementi e sui comportamenti da adottare anche al di fuori del lavoro; abbiamo fatto un corso di formazione su vestizione e svestizione, perché questa è una situazione infettiva molto più grave del solito, abbiamo consegnato ai dipendenti tutte le indicazioni aziendali e ministeriali da leggere anche a casa, ci scambiamo suggestioni su quali sono le problematiche ma anche i dubbi di gestione. Insomma, abbiamo attivato una formazione continua e soprattutto ci siamo dati ruoli ben precisi, salvo poi stravolgerli in caso di necessità, come quando il fisioterapista provvede anche a tagliare i capelli e fare la piega alle ospiti o io stessa vado a fare la spesa.
Come definirebbe il lavoro delle Rsa?
Il nostro lavoro comincia quando gli altri hanno finito di lavorare, è questa la nostra normalità. L’ospedale risolve la problematica d’urgenza, noi subentriamo quando serve la riabilitazione o anche solo per evitare i peggioramenti. E abbiamo avuto grandi soddisfazioni anche con pazienti con demenza, decontestualizzando la terapia riabilitativa con attività alternative alla palestra. Tutti abbiamo punti di forza e debolezza, e ovviamente ci sono altri ritmi rispetti al lavoro di cura fatto in casa, ma questo non sempre è possibile, e non significa che l’assistenza in una struttura non sia efficace o che le persone siano abbandonate. Gli anziani sono la nostra memoria e sono in grado di darci tanto. Quello che è successo con l’emergenza Covid non è una colpa, il virus poteva entrare in qualunque momento prima di prendere provvedimenti. Abbiamo solo cercato di fare del nostro meglio e non abbassiamo la guardia ora.
Le problematiche
Sono diverse le difficoltà incontrate dalle strutture residenziali e sociosanitarie durante l’emergenza. Tra queste, il 32,9% ha segnalato la carenza di personale sanitario: il 25,5% ha evidenziato difficoltà nell’isolamento dei residenti affetti da Covid; il 21,8% ha dichiarato di aver ricevuto informazioni discordanti circa la gestione della pandemia, una mancanza di coordinamento e problemi nell’eseguire tamponi. Infine, il 10,3% ha indicato una carenza di farmaci. (Fonte: Indagine Istituto Superiore Sanità)
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