In Italia esistono oltre 500 Centri per i disturbi cognitivi e le demenze: in ciascuno lavorano in media cinque professionisti. Un quarto di queste strutture però è aperto solo un giorno alla settimana, mentre quasi la metà di quelli che lavorano cinque giorni su sette si trovano nel Nord del paese.
Questi dati sono emersi dalla ricerca condotta dall’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità fra il mese di luglio del 2022 e lo scorso febbraio, che ha rilevato caratteristiche e carenze di questi luoghi di cura.
I professionisti dei Centri per i disturbi cognitivi e le demenze
La direzione è solitamente curata da un neurologo o da un geriatra, ma solo nel 5% dei casi il coordinamento è in mano a uno psichiatra. Pochi invece gli infermieri, i fisioterapisti, i logopedisti e i mediatori culturali nell’organico. Su un totale di quasi 2.500 professionisti impiegati, nel 14% dei casi non si tratta di strutturati. Nel 29,9% dei Centri opera almeno un neuropsicologo e nel 26,6% almeno uno psicologo. Il 29,7% dei casi riporta la presenza di almeno due tra neurologo, geriatra e psichiatra, mentre nel 33% c’è solo un neurologo. Nel 58,8% è impegnato almeno un infermiere; nel 16,2% un assistente sociale; nell’8,9% un amministrativo; nell’8,4% un logopedista; nel 6,4% un fisioterapista e nell’1,6% un genetista. Solo nell’1,1% dei casi sono presenti un mediatore culturale o un interprete linguistico.
Sedi e aperture
Il sondaggio ha visto la partecipazione del 95% dei centri, ossia 512 su 540. L’80% di questi ha un’unica sede sul territorio nazionale, mentre il 19,1% ha sedi territoriali per un totale di 163 strutture. La maggior parte si trova all’interno degli ospedali (46,7%), mentre il 44,1% in strutture indipendenti e il 9,2% nelle Università. Un quarto dei Centri (il 25,4%) è aperto solo un giorno alla settimana e tra quelli aperti cinque giorni solo il 27,5% si trova al Centro Italia, mentre il 24,6% è al Sud.
Servizi offerti dai Centri per i disturbi cognitivi e le demenze e modalità di accesso
Nel 53% dei casi la prima visita avviene tramite impegnativa del medico di medicina generale, che richiede una prestazione specialistica, e contatto con il Cup regionale. Nel 43% è servita la stessa ricetta ma è stato poi contattato il Cup di un ospedale. Infine nel 4,5% dei casi c’è stata la possibilità di un contatto diretto con il Centro da parte del medico di base o dei medici ospedalieri.
Le stesse modalità si ripetono anche nelle visite di controllo
Nella fase diagnostica, il 66,5% dei centri offre una Pet amiloidea che valuta la presenza di placche a livello cerebrale e nel 62,3% dei casi i marker liquorali. Mentre nella fase assistenziale il 45,7% dei Centri ha fornito un servizio di telemedicina e l’80,7% un counseling individuale per i pazienti. Il 67,4% offre anche una riabilitazione cognitiva e il 59,2% motoria.
“Questi dati fotografano le criticità dell’offerta sanitaria presente in Italia per i Centri per i disturbi cognitivi – ha spiegato Nicola Vanacore, direttore dell’Osservatorio demenze dell’Iss – sia per quanto riguarda il numero complessivo di professionisti sia per la scarsità di altre tipologie di professionisti diverse dai medici. In una logica di sanità pubblica è fondamentale poter disporre dei Centri, un nodo cruciale per la diagnosi e la presa in carico delle persone con demenza, di un maggior numero di professionisti e di personale con diversi profili al fine di poter valorizzare sempre più un lavoro di equipe professionale e di renderlo disponibile e capillare in tutto il territorio nazionale. Si tratta di dati molto importanti poiché parliamo di un problema che coinvolge in Italia circa due milioni di persone con disturbo cognitivo lieve o demenza e circa tre milioni di italiani, tra familiari e caregiver che vivono con loro.”
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