Sono stati presentati i primi risultati del progetto Interceptor nel corso di un convegno organizzato da Iss, Policlinico A. Gemelli e IRCCS San Raffaele. Attraverso i biomarcatori sarà possibile attuare una diagnosi precoce e avviare tempestivi interventi terapeutici e di prevenzione.
La ricerca sulla demenza ha fatto un importante passo avanti grazie ai primi risultati del progetto nazionale Interceptor, finanziato dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). “Interceptor” ha dimostrato come l’uso combinato di più biomarcatori possa identificare le persone con disturbo cognitivo lieve (DCL) a maggior rischio di sviluppare demenza.
Biomarcatori: una nuova frontiera
I risultati di Interceptor sono stati presentati durante un convegno organizzato dall’Osservatorio Demenze del Centro Nazionale Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute (CNaPPS) dell’ISS, in collaborazione con importanti istituzioni come il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e l’IRCCS San Raffaele.
La combinazione di biomarcatori offre una nuova prospettiva nella lotta contro la demenza, aprendo la strada a diagnosi più accurate e interventi terapeutici personalizzati. La ricerca continua in questa direzione potrebbe portare a una gestione più efficace della malattia e a un miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
Otto parametri combinati per la diagnosi precoce della demenza
Nato nel 2016 in previsione dell’approvazione del primo farmaco contro l’amiloide (una delle principali cause dell’Alzheimer), lo studio Interceptor si pone l’obiettivo di individuare precocemente le persone con disturbo cognitivo lieve (MCI) a maggior rischio di sviluppare demenza. L’efficacia delle terapie per l’Alzheimer, infatti, è maggiore se si somministrano nelle fasi iniziali della malattia. Le persone con MCI, infatti, hanno un rischio più elevato di sviluppare demenza entro tre anni. Tuttavia, le nuove terapie possono avere effetti collaterali importanti, rendendo fondamentale identificare i pazienti con il miglior rapporto rischio/beneficio.
La sfida dello studio
Interceptor ha coinvolto 351 partecipanti con MCI, arruolati in 19 centri clinici italiani. I partecipanti sono stati sottoposti a una serie di esami per valutare diversi biomarcatori, tra cui: Valutazione delle funzioni cognitive (MMSE); Valutazione della memoria episodica (DFR); Analisi dell’attività metabolica cerebrale (FDG-PET); Valutazione dell’atrofia ippocampale (Risonanza Magnetica); Studio della connettività cerebrale (EEG); Test genetico per APOE e4; Misurazione dei marker biologici di Alzheimer nel liquido rachideano.
Risultati promettenti per la diagnosi precoce della demenza
Durante il follow-up, 104 pazienti con MCI sono progrediti verso una forma di demenza, di cui 85 con diagnosi di Alzheimer. Il modello predittivo sviluppato dallo studio, basato su 8 predittori (sesso, età, familiarità, MMSE, volume dell’ippocampo, rapporto abeta-42/p-tau e Small Worldness dell’EEG), ha dimostrato un’elevata accuratezza nel prevedere la progressione verso la demenza, classificando correttamente l’81,6% dei partecipanti.
In caso di approvazione di nuovi farmaci per l’Alzheimer, il team di ricerca di Interceptor propone uno studio “Interceptor 2.0” per validare ulteriormente il modello predittivo e verificare la sua efficacia nella selezione dei pazienti ad alto rischio, nell’erogazione dei farmaci e nel monitoraggio della loro efficacia.
© Riproduzione riservata