Al Death Cafe ci si riunisce per mangiare torte, bere tè e discutere della mortalità. Obiettivo dichiarato: vivere al meglio la propria esistenza.
Un Death Cafe (letteralmente tradotto Caffè della Morte) non è, come si potrebbe pensare, un luogo d’incontro lugubre dove sorseggiare bevande in compagnia di persone vestite di nero, affrante dal peso del trapasso. Al contrario, è uno spazio culturale aperto al pubblico dove incontrarsi per prendere confidenza con il più grande tabù della società occidentale. Il concetto è relativamente nuovo. Nel 2011 l’inglese John Underwood tiene nella sua casa di Londra il primo Death Cafe della storia, un ciclo di incontri per esorcizzare la paura del fine vitae. L’idea si ispirava ai Cafè Mortel organizzati nel 2004 dal sociologo svizzero Bernard Crettaz dopo la scomparsa della moglie.
La morte ci fa apprezzare la vita
Oggi il Death Cafe si può definire come un franchising sociale diffusosi rapidamente in tutto il mondo, anche sui social. Il sito web riporta, dal 2011 ad oggi, la cifra record di 16.400 incontri in 85 Paesi. Lo scopo dichiarato dell’iniziativa è “aumentare la consapevolezza della morte per aiutare le persone a sfruttare al meglio la propria vita”. Per Underwwod (scomparso a 44 anni nel 2017) il Death Cafe esiste per combattere quella negazione della morte, “caratteristica onnipresente del capitalismo consumistico occidentale”. Ma i frequentatori degli incontri, persone di tutte le età e in maggioranza donne, non sono ossessionati dal pensiero della fine. Piuttosto cercano, attraverso la convivialità e il confronto, di prendere confidenza con un evento rimandabile ma ineludibile. In questo modo diventano consapevoli di non sprecare quanto hanno di più prezioso: il tempo a loro disposizione.
Benvenuti al Caffè della Morte
Il movimento Death Cafe, gestito su base volontaria e senza fini di lucro, segue alcune regole precise. Le riunioni possono avvenire in una abitazione o in un locale pubblico, purché riservato. Il format non si configura come un gruppo di mutuo aiuto, pur prevedendo la presenza di un moderatore, proprio perché gli incontri sono aperti anche ai curiosi che non hanno avuto un’esperienza personale con la morte. La discussione è aperta a tutte le opinioni, ma i presenti devono rispettare le diverse convinzioni ed evitare il proselitismo. Si tratta di tutto, dagli aspetti pratici, come gli accessi alle cure palliative, ai rituali del lutto. In effetti la piega che prenderà il meeting dipende molto dall’orientamento dei partecipanti, quasi sempre estranei tra loro. Naturalmente si sconsiglia l’adesione a chi ha subito una perdita recente o è affetto da una forte depressione.
Affrontare le paure davanti ad una tazza di tè
La scelta di discutere del tema della morte sorseggiando un tè con una fetta di torta ricalca la visione originaria di Crettaz: “Niente segna la comunità dei vivi come la condivisione di cibo e bevande”. Bere e mangiare, azioni normali della vita quotidiana, contribuiscono infatti a dare al momento un’aria di informalità e rilassatezza, mitigando le angosce più profonde. In molte culture parlare del finis vitae è ancora un tabù, anche se ultimamente l’impatto devastante della pandemia ha obbligato l’umanità a confrontarsi brutalmente con il tema della sopravvivenza. Al punto che nel mondo anglosassone l’interesse per questi gruppi è via via aumentato anche all’interno della comunità scientifica. L’idea è quella di costruire in futuro istituzioni e comunità resilienti in grado di affermare e sostenere la vita partendo dalla consapevolezza del dolore.
A Torino si discute sul ciclo della vita
Intanto, il Caffè della Morte è divenuto un fenomeno globale. Tra gli spin-off, i “Caffè della Menopausa”, per aiutare le donne ad affrontare cambiamenti fisici e ormonali, e gli “Extinction Cafe”, uno spazio nel quale approcciare il tema dell’eco-ansia legata al riscaldamento globale. L’ultimo Death Cafe in ordine di tempo in Italia è arrivato a Torino, promosso dall’Ordine degli psicologi del Piemonte. Il format, per gli organizzatori, è “una occasione di riflessione condivisa, sensibilizzazione e formazione, coordinate da un facilitatore, nel corso delle quali per un paio d’ore è possibile riflettere e acquisire consapevolezza sul ciclo della vita. Affrontando collettivamente paure, pensieri e turbamenti”. L’evento ha suscitato interesse nei media, sollevando commenti anche fuorvianti. In realtà si è trattato di un meeting riservato a professionisti, spesso alle prese nelle terapia con il tema del distacco e del lutto. Ma è servito comunque a sollevare il sipario sul genere di iniziative e, chissà, a prepararne di nuove aperte a tutti i cittadini.
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