Rita De Simone. Ex docente di Scienze e Chimica in un liceo catanese, mamma di due figli e nonna di due nipoti. Amante dell’arte in tutte le sue forme, dopo la pensione si è dedicata ad alcuni hobby tra cui la pittura in cui cerca di ritrarre i luoghi e le bellezze della sua Sicilia. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Catania.
Caro Papà,
sono qui in questa silenziosa bianca e fredda stanza d’ospedale ad aspettare che dalla sala Tac ti riportino in camera.
Vorrei camminare ma sto in piedi impietrita e il forte odore di disinfettante aumenta ancora di più la mia nausea. Poi cerco di reagire, mi muovo lentamente e il mio sguardo si posa sulle pareti bianche e vuote, sul letto bianco e sull’unica sedia anch’essa bianca, solo sul comodino un po’ di colore, una bottiglia verde, un pacco di fazzolettini e il tuo orologio con il cinturino di pelle marrone.
Il mio sguardo percorre tutta la parete finché ecco un vero quadro a colori, la finestra aperta sul cortile dell’ospedale con un paesaggio che mi tocca il cuore.
Mi avvicino alla finestra, un raggio di sole mi riscalda il braccio ed il cuore mentre un brivido mi percorre la schiena.
Guardo il cielo azzurro, limpido e senza nubi che sembra toccare il mare che ha un colore blu intenso solo a tratti più chiaro, poi il mio sguardo scorre sui tetti di diversi colori della città e sul verde di varie tonalità che arriva fino ai piedi della montagna che oggi mi appare di colore violetto.
Respiro profondamente ed inalo il forte profumo di tigli e di zagara che proviene dal cortile. L’aria profumata di primavera inoltrata ed il tepore del sole mi fanno stare meglio anche se ancora ho un nodo alla gola e un dolore allo stomaco. L’ansia mi divora e mi ripeto che la mia agitazione non cambierà la diagnosi che attendo. Respiro ancora profondamente e guardo il cielo e mi sovvengono come dei flash, immagini del passato.
Caro papà, mi rivedo bambina quando mi accompagnavi a scuola tenendomi per mano o quando durante il tragitto un giorno, un colpo di vento mi strappò il cappellino rosso, il mio preferito, e insieme alle foglie come un mulinello lo portò lontano velocemente e tu, guardando i miei occhi colmi di lacrime, con una corsa ed un salto riuscisti a prenderlo e con un sorriso me lo consegnasti o quando più grandicella cercavi di farmi capire dei problemini di aritmetica che mi rifiutavo di capire oppure quando liceale litigavamo perché non volevi farmi andare alle feste dei miei compagni perché, dicevi, di non conoscere le loro famiglie o quando ancora alla discussione della mia tesi di laurea, durante la quale non avevo voluto né parenti né amici come spettatori, nemmeno voi, a sorpresa venisti con la mamma portandomi un bellissimo mazzo di rose o ancora quando quasi impettito mi accompagnasti all’altare dicendomi che ero una delle due spose più belle che avevi mai visto in vita tua, l’altra era la mamma o quando ancora ormai stanco perché non ti rassegnavi a vedere la mamma, molto più giovane di te, sulla sedia a rotelle, riacquistasti il sorriso e la forza insieme alla mamma facendo il nonno tenero e affettuoso dei miei figli.
Per strada durante il tragitto per venire in ospedale ti seguivo con lo sguardo, eri pallido, teso sembravi con le spalle curve, tu che fino a qualche giorno prima eri agile, forte, dritto come una quercia. Allora ti ho rivolto qualche parola che voleva essere di incoraggiamento ma tu mi dicesti “non è per me, vorrei vivere un giorno in più della mamma per non lasciarla sola in questa sua battaglia ed esserle di aiuto”.
Quando lasciasti la stanza mi hai sorriso per rassicurarmi ma ora questa attesa mi è insopportabile.
Ma ecco la porta si apre, interrompendo i miei pensieri, entri accompagnato da un infermiere ,il tuo sguardo non so definirlo, la tua bocca mostra uno strano sorriso, il mio respiro si ferma , ti vengo incontro e ti sorrido. Appena esce l’infermiere, in un silenzio imbarazzante ti aiuto ad indossare la giacca ma tu con quel sorriso beffardo ormai più chiaro mi dici ”pazienza lotterò come un leone per lei, ce la farò.”
Usciamo dall’ospedale, l’aria è profumata ed il sole di Maggio è caldo ma il mio cuore è freddo come la mia mano che stringe la tua.
Caro papà ormai sono passati tantissimi anni ma quegli occhi e quel sorriso non li ho dimenticati più.