Il mondo della settima arte si arricchisce di senior davanti e dietro la macchina da presa. Il commento di Flavio De Bernardinis del Centro Sperimentale di Cinematografia.
Steven Spielberg, Clint Eastwood, Meryl Streep, Anthony Hopkins, Martin Scorsese, Robert Redford. Di registi e attori che non ci pensano proprio a ritirarsi dal mondo del cinema la lista potrebbe essere ancora più lunga. Una tendenza destinata a crescere con l’aumento della vita media. Quando a marzo 2023, a 61 anni, Michelle Yeoh ha ricevuto un Oscar come miglior attrice protagonista nel film Everything Everywhere All at Once, ha dichiarato: «Donne, non permettete a nessuno di dirvi che avete passato l’età migliore». Partendo dalle sue parole abbiamo chiesto a Flavio De Bernardinis – docente di Storia del cinema presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma nonché volto degli appuntamenti a tema di “Zoom-I Webinar di Spazio50” – cosa sta accadendo nel mondo della settima arte.
Le parole della Yeoh raccontano il nostro tempo: nel cinema sono sempre di più gli attori e i professionisti over che ricevono premi o ricoprono ruoli importanti. Perché?
È un riflesso di ciò che accade nella società di oggi, al di fuori del cinema. Ormai sotto gli 80 anni si è giovani. L’età migliore, quella della gioventù, non corrisponde più totalmente all’età biologica. La gioventù si è trasformata in una condizione dello spirito, una situazione culturale che si riflette anche sul corpo. Anche se ci sono sempre più strumenti per sfuggire ai condizionamenti dell’età, nella società di oggi la condizione dello spirito è quella che conta. Anche rispetto al fisico. È la spiritualità di un mondo che cerca giustamente di sottrarsi ad un materialismo che incombe ovunque. Il culto del successo, ad esempio, nelle parole della Yeoh non viene tanto affiancato alla ricchezza quanto alla consapevolezza. E la consapevolezza di sé è un valore della maturità, dell’esperienza, del tempo che passa ma non consuma. È una ricchezza che costruisce, edifica, produce.
Possiamo parlare di un “primato” over 50, allora, in questo settore?
Direi di sì, basti pensare a De Niro, Al Pacino, Favino. Questo stesso primato over 50 è applicabile anche al fenomeno, diffuso specialmente qui in Italia, di tutti quegli attori che hanno intrapreso la carriera da registi dopo aver maturato abilità davanti la macchina da presa. Penso a Margherita Buy, ma anche ad Antonio Albanese. Se ne potrebbero citare altri. Come dicevo prima è la dimostrazione di un tempo che non consuma, ma che produce esperienza. In quel tempo trascorso infatti non si sono limitati a fare gli attori, non si sono consumati in un’unica attività. Hanno finito con il costruirsi.
Il cinema d’azione ha visto attori molto sopra gli “anta” con ruoli da protagonisti. John Malkowich, Denzel Washington, Harrison Ford
Pensiamo anche a tutto il cast della serie I mercenari – The Expendables con Sylvester Stallone. Potremmo citare anche quella. Credo che tutto derivi dal fatto che il cinema non ha mai dimenticato la sua vera natura, che è quella del rapporto con il corpo. Dive del passato come Greta Garbo e Marlene Dietrich escludevano un po’ questo aspetto dall’immaginario poiché erano soprattutto un volto. Con Marilyn Monroe, Brigitte Bardot, Jean Moreau è arrivato il film del corpo. Sono state loro a rilanciare la questione del suo rapporto con la macchina da presa, presupposto su cui si fonda il cinema moderno. Nel fenomeno degli attori ormai over 50 che oggi esibiscono prestazioni e performance di tipo fisico, si riproduce questa relazione privilegiata con il corpo stesso.
Ma è solo merito della magia del cinema o anche gli effetti speciali hanno un peso?
Nonostante il trionfo del digitale, devo dire che in The Irishman di Martin Scorsese – e in parte nel più recente Indiana Jones e il quadrante del destino di James Mangold – la tecnologia utilizzata per ringiovanire i protagonisti (Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino, nel primo film, Harrison Ford, nel secondo, ndr) ha prodotto un parziale fallimento. Si coglieva benissimo una certa asimmetria, con volti ringiovaniti su corpi che tradivano invece movimenti di un’altra età. Ma questo si spiega sempre con quanto detto prima: il cinema ha un rapporto assoluto e privilegiato con il corpo.
Assodato che c’è un prevalere di una fascia anagrafica, ci sono vantaggi – e svantaggi – in un ricambio generazionale che sembra procedere a rilento nel cinema?
In realtà, a mio parere il ricambio c’è. Forse è meno evidente. Penso ad un attore molto giovane ma bravo come Timothée Hal Chalamet, lanciato da Luca Guadagnino. Non penso poi che ci siano vantaggi e svantaggi. Il cinema si autoalimenta in maniera, tutto sommato, sempre equilibrata. È vero che questa è una società molto focalizzata sugli over 50 e quindi il cinema coglie questo elemento dell’immaginario collettivo. E l’immaginario, in questo momento, predilige gli over 50 proprio perché è la società stessa che si concentra dal punto di vista dei desideri e dei bisogni su questa fascia di età.
Il prossimo anno ci sarà una nuova edizione di Corti di Lunga Vita, festival di cortometraggi organizzato dall’Associazione 50&Più. Lei è stato membro di giuria. Cosa raccontano le opere in concorso?
Le opere in concorso narrano la Lunga Vita a volte con ironia, a volte con un pizzico di preoccupazione, sovente accettandone in pieno le risorse che ormai essa comporta, ossia l’affetto dei propri cari, ma anche la possibilità di mettere finalmente a frutto tutto il tempo libero disponibile. Una stagione quindi di creatività sbrigliata, di attenzione a ciò che in precedenza poteva sfuggire, di partecipazione alle cure e gli affanni degli altri. Le piccole grandi angosce vengono in fondo assorbite da uno sguardo che si riferisce certamente a un passato di cui fare tesoro, ma anche a un futuro che è tutto ancora da scoprire. Lo strumento del cinema, attraverso le immagini tratte anche dalla dimensione del sogno, o della fantasia a occhi aperti, si rivela perciò fra i più adatti a esprimere simili impulsi e sentimenti.
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