All’inizio c’era stata un po’ di una ripresa, qualche timido segnale che faceva ben sperare. Nel corso del 2019, in Italia, la povertà era andata riducendosi, come dimostrano anche i dati resi noti dall’Istat. Certo, i livelli rimanevano alti rispetto a quelli antecedenti alla recessione del 2008, ma mostravano un cauto ottimismo. Probabilmente collegato anche all’introduzione del Reddito di Cittadinanza.
Ora, però, il Coronavirus ha cambiato le carte in tavola. Il quadro disegnato dall’Istituto di Statistica rischia di essere superato dalle conseguenze della pandemia. Perché adesso la crisi (economica oltre che sanitaria) colpisce anche fasce della popolazione che prima erano al riparo dall’indigenza.
Le famiglie tra povertà assoluta e povertà relativa
Nel 2019 le famiglie in condizioni di povertà assoluta ammontano quasi a 1,7 milioni, con una incidenza pari al 6,4% (nel 2018 ammontava al 7,0%). Una condizione riguardante 4,6 milioni di persone, ovvero il 7,7% del totale. Rispetto al 2018 è una percentuale in decrescita, quando segnava l’8,4%.
È importante fare prima una “precisazione terminologica”: per “povertà assoluta” s’intende la capacità di spesa al di sotto di una certa soglia. Questa può variare in base alla composizione del nucleo e dell’area geografica. Ad esempio, per chi vive a Roma, un nucleo formato da una sola persona adulta si colloca a 804 euro. Coloro che hanno una spesa minore di tale cifra vengono considerati assolutamente poveri.
Diverso è invece il discorso della “povertà relativa”. Quest’ultima scatta quando una famiglia di due persone non riesce a raggiungere quella media di una singola persona a livello italiano. Un concetto che dipende, dunque, dalla situazione generale della popolazione. Prendendo in considerazione il concetto di “povertà relativa”, qui il numero di famiglie indigenti è stabile rispetto all’anno precedente. Nel 2019 sono poco meno di 3 milioni (11,4%) a cui corrispondono 8,8 milioni di persone (14,7% del totale).
L’età del capofamiglia, una garanzia contro la povertà
Visto il tenue miglioramento registrato nel 2019, si potrebbe pensare che qualcosa vada cambiando nella distribuzione della ricchezza in Italia. Invece, alcune “caratteristiche tipiche” sembrano resistere. A cominciare dalla discriminante dell’età: l’Istat ha notato come l’incidenza della povertà decresca con l’aumentare dell’età della persona di riferimento della famiglia.
In sintesi, dice l’Istat, «le famiglie di giovani hanno più frequentemente minori capacità di spesa poiché dispongono di redditi mediamente più bassi e hanno minori risparmi accumulati nel corso della vita o beni ereditati». Per fare qualche esempio: l’incidenza che è dell’8,9% nei nuclei in cui la persona di riferimento ha tra i 18 e i 34 anni, scende al 5,1% lì dove ha oltre 64 anni.
Povertà assoluta, Mezzogiorno e grandi città
Permane il gap tra il Sud e il Centro-Nord. La percentuale di famiglie che si trovano in povertà assoluta nel Mezzogiorno è dell’8,6%. Al Nord è il 5,8% mentre al Centro il 4,5%. Si tratta di numeri in calo, tuttavia, rispetto al 2018 quando, nel Mezzogiorno i poveri assoluti erano il 10%.
Campanello di allarme anche per quanto concerne i minori: quelli in povertà assoluta sarebbero 1.137.000. La piaga della povertà assoluta colpisce soprattutto gli stranieri: qui l’incidenza è del 26,9%.
Un altro dato in controtendenza riguarda le grandi città. Nel Nord, infatti, l’indigenza è più diffusa nelle grandi città rispetto ai Comuni più piccoli, compresi quelli delle aree metropolitane. Sempre nelle regioni settentrionali, si segnala un aumento (già da un paio di anni), dell’incidenza della povertà tra i nuclei formati da soli italiani (passati dal 3,1 al 4%). Infine, l’incremento della povertà si segna nei Comuni più piccoli del Nord-Est, quelli che non superano i 50mila abitanti.
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