Il cinema è diventato ciò che la tv era un tempo ossia una finestra, un oblò puntato sul mondo. Anche il linguaggio è cambiato con un tono sempre uguale, un borbottio pigro e indifferenziato
Nel campo delle comunicazioni di massa, la novità più rilevante di questo primo quarto di secolo è l’integrazione tra rete telematica e vecchi media. Televisione, cinema, radio e internet si compattano all’insegna del digitale, che tutto amalgama e riproduce. Telefono cellulare, computer e smart tv sono gli interfaccia più comuni e accessibili per fruire di una simile offerta.
Questo la tecnologia, ma i contenuti? Il principio è lo stesso, l’integrazione, perché agli stessi orari, sulle maggiori reti, Rai Mediaset, La7, e anche Nove, va in onda la medesima filiera di trasmissioni: giochi e quiz che fanno da scivolo per il Tg, dopo di che scatta la miriade di talk show che affolla i palinsesti. Opinionisti di ogni ordine e grado, giornalisti e politici, transitano da un contenitore all’altro, rendendo tutto uguale e contrario. Ma soprattutto uguale: a tutte le ore, su tutti i canali.
Alternativa, ecco le cosiddette tv tematiche. Esempio, Real Time, il cui palinsesto – come da titolo – indica il “tempo reale”, ossia la vita quotidiana effettiva, cadenzata di elucubrate cortesie per gli ospiti, case e casette a prima vista, succose gastronomie per chiunque, primi sinuosi appuntamenti, spettacolari mega matrimoni, minuziose esperienze di medicina e salute. In breve, l’occupazione del tempo tutto intero: mattina, pomeriggio, sera inoltrata. L’integrazione tra internet e vecchi media prevede così la copertura invasiva del tempo, sia macroscopico, quello delle guerre e grandi eventi, presente sulle tv più forti, ma anche quello microscopico, pani, amori e fantasie, depositato sulle reti meno muscolose. La tv è ormai il luogo di una diretta perpetua con l’esistente, dove il grande e il piccolo si scambiano continuamente i ruoli. Per cui la pietanza architettata dallo chef di turno appare una cosa enorme, mentre il crollo di un viadotto autostradale sembra un incidente tra gli altri. E viceversa, in eterno.
Il cambiamento più forte è tuttavia un altro, quello del linguaggio. Si parli dell’elezione del presidente degli Stati Uniti o del tour cancellato di un cantante, il tono rimane lo stesso: un borbottio pigro e indifferenziato, un riflusso di informazioni quasi furtive, rapide raccomandazioni insinuanti, consigli e suggerimenti un poco enigmatici. Tutto ciò, per tenere desta e alta l’attenzione. Qualcosa ovvero che riguardi tutti, ma dedicato solo a me che osservo, a te che ascolti. È il trionfo della personal communication. La notizia è importante non per quello che giustamente vale, grande e piccolo infatti si equivalgono, ma per il fatto puro e semplice che dal teleschermo qualcuno la venga a dire proprio a me, a te. Urlando, ma al tempo stesso sottobanco, quasi in confidenza.
Questo linguaggio, istantaneo e inequivocabile, ha un nome: si chiama gossip. Oggi, tutto è gossip. I servizi televisivi col cellulare, a rettangolo alto, per esempio, girati da un reporter improvvisato e misterioso, ebbene quello è gossip: qualcosa che viene spiato, senza tuttavia essere testimoniato. Ciò che si scorge, ma non si certifica. Non solo l’informazione, ma anche gli infiniti talk show, i programmi del “tempo reale”, i giochi e i quiz, persino la satira è gossip, perché ha l’aria di ciò che viene spifferato soltanto per me, e per te, che siamo in perenne video-ascolto. Lo spiffero non può valere come prova e testimonianza della verità, certo, ma è un potente segno di affetto e fiducia nei miei riguardi di affezionato video-utente. Affinché non cambi canale (e perché dovrei, se è tutto uguale?).
Il cinema, allora, può restare escluso dal gossip? In questi ultimi 25 anni, il cinema è diventato ciò che la tv era un tempo, ossia una finestra, un oblò puntato sul mondo. Il cinema d’autore, feritoia e ferita sull’abisso della fantasia più esclusiva, croce e delizia del XX secolo, oggi è ormai al tramonto. Adesso dominano i film-oblò, quasi tutti tratti da storie vere. Parthenope, pur personale e onirico, è comunque percepito come un oblò mirato sulla creatività di Paolo Sorrentino, l’artista. Per incasso e numero di spettatori, tuttavia, Parthenope è clamorosamente surclassato da Il ragazzo dai pantaloni rosa, storia interamente calata nella cruda realtà dei nostri tempi. Oblò sui mali del mondo, lente sul dolore di questo inizio secolo e millennio.
In chiave generale, sembra quindi che il medium più giovane sia capace di influire su quello più anziano. Il regno ufficiale del gossip, infatti, è la giovanissima rete. Persino una qualsiasi voce di Wikipedia pare scritta col tono del gossip: più sussurro e suggerimento, che informazione a pieni polmoni. Per tacere del fatto che uno dei siti più consultati, tanto dai vip che dalla gente comune, si chiama Dagospia. Dalla rete, ultima arrivata, il gossip transita allora sul medium precedente, la televisione, regno degli spifferi. In tal modo, il cinema eredita quello che all’inizio era la televisione, finestra e oblò sul mondo: occhio più circoscritto, compreso in sé stesso, limitato nel tempo e nello spazio. Il grande grandissimo film Oppenheimer, in fondo, altro non è che un oblò puntato sulla mente dell’insigne scienziato. Dove i neuroni bisbigliano l’apocalisse.
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