La corsa è sempre stata parte integrante della sua vita, un filo rosso che l’ha accompagnato nelle tappe più importanti della sua esistenza. Aniello Cerreto, 79 anni, è nato in provincia di Caserta, ha vissuto l’infanzia e la giovinezza a Maddaloni, prima di stabilirsi a Roma, dove per anni ha svolto l’attività giuridica.
Una famiglia agricola, la sua, dedita alla coltivazione e al commercio di mandarini, cachi, arance, mele annurche, carciofi, cavolfiori e pomodori nel casertano. “La mia vita, sin da bambino, si svolse quasi sempre in campagna. Per andare a scuola, al centro del paese, facevo circa due chilometri a piedi o con la bicicletta”, racconta Aniello. Frequentava il liceo classico Giordano Bruno, ed è lì che aveva anche i suoi amici, con cui era solito trascorrere i pomeriggi, tra una partita a bigliardo e una passeggiata per il Corso nel weekend. L’esigenza di effettuare a piedi gli spostamenti, anche per ampi tratti ogni giorno, contribuisce a far nascere quella che poi diventerà in lui una vera passione: la corsa.
Gli anni del liceo: la corsa diventa più di una passione
“Partecipavo alla corsa campestre che si svolgeva annualmente tra gli studenti del liceo”, racconta. “Mi classificai al primo posto in quella del 1959, quando frequentavo la seconda liceo; poco dopo partecipai anche ai campionati provinciali studenteschi, arrivando quarto nella corsa dei mille metri”.
La grande predisposizione sportiva di Aniello non passò inosservata: “Il mio professore di ginnastica, Prof. Angione, mi segnalò per il ruolo di tedoforo dell’olimpiade del 1960, partecipai alle prove di selezione, che ebbero luogo a Caserta. Non avevo svolto un’eccessiva preparazione, ma superai i test senza fatica, e venni convocato”.
La notte olimpica: i ricordi del tedoforo n. 1031
Nella notte tra il 23 e il 24 Agosto 1960, tra Santa Maria Capua Vetere e Capua, Aniello Cerreto portò la fiaccola olimpica. “Fu una grande emozione, anche se nel tratto da me effettuato, in aperta campagna, vi erano poche persone ad assistere”. Aniello corse per circa un chilometro e mezzo, non ricorda esattamente l’orario, ma ricorda che era buio. Ed una sensazione in particolare: “Durante il percorso la mia preoccupazione fu quella di non far spegnere la fiaccola, in quanto vi era un leggero vento”. Un camion dell’esercito prendeva a bordo i tedofori di una certa zona e li distribuiva lungo il percorso. Sopraggiungeva poi un altro camion, al termine della prova, per recuperarli e ricondurli al punto di partenza.
“A tutti gli atleti furono date una tuta da ginnastica, una maglietta, le scarpette e la fiaccola”, racconta. Quest’ultima, Aniello, l’ha conservata gelosamente, appesa all’ingresso di casa, alloggiata su un supporto a muro sempre in bronzo. Il cimelio è affiancato ad un piccolo quadro che mostra e protegge uno scudetto raffigurante la Lupa Capitolina che sovrasta i cinque cerchi Olimpici. Spesso, nella fiaccola, trova posto un rametto di ulivo, ricordo della domenica della Palme, creando un bell’accostamento tra simboli di pace.
Tra nostalgia e passione, i ricordi che non si cancellano
Aniello ha continuato a seguire, con interesse, le Olimpiadi che si sono succedute, ma quella del 1960 occuperà sempre un posto speciale nel suo cuore: “Ricordo la maratona vinta dall’etiope Abebe Bikila, che stupì tutti correndo scalzo. Ricordo i 200 metri vinti da Livio Berruti, e le gare dominate da Wima Rudolph (i 100, i 200 metri e la staffetta 4×100 m)”.
La corsa è rimasta una costante nella vita di Aniello, che l’ha praticata fino ai 70 anni: “Ho cercato di indirizzare anche i miei figli verso questo sport, in particolare Antonio”, confessa. “Ero solito fare passeggiate di circa 2-3 chilometri, una volta settimana, nel Parco degli Acquedotti di Roma. Adesso se passeggio per un chilometro è anche troppo…”, afferma con un po’ di risentimento. Spesso è la nostalgia a prendere il sopravvento: “Quando vedo qualcuno correre per strada sento in me un sentimento di invidia – confessa il tedoforo 1031 – per quel senso di spensieratezza e di libertà che mi procurava e di cui, oggi, mi sento privo”.
(ha collaborato Antonio Cerreto)
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