Se ne fate parte, allora siete di quella generazione che è cresciuta anche a colpi di un milione di nascite l’anno. E vista da qua – da questo 2021 – la generazione dei cosiddetti Baby Boomers fa ancora più effetto. Secondo le ultime rilevazioni, infatti, il 2020 – l’anno dell’esplosione del Covid – ha segnato il picco negativo di nuove culle. I nati sono stati 404mila, quasi la metà dei morti, stando ai dati diffusi dall’Istat. Ma c’è un elemento che fa ulteriormente impressione: sono dodici anni consecutivi che diminuiscono le nascite. Sotto del 30% rispetto al 2008; meno 60% se pensiamo al 1964, l’anno d’oro dei nuovi nati.
Il calo in tempo di crisi
«Un risultato – ha detto il presidente Istat, Gian Carlo Blangiardo – che, nella storia del nostro Paese, si era visto unicamente nel 1918, allorché l’epidemia di “spagnola” contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quel catastrofico anno». Provando a osservare tempi più recenti, l’Istituto di ricerca guidato da Blangiardo si spinge verso un ulteriore parallelismo: «È verosimile immaginare che, così come accadde per la caduta delle nascite al tempo della grande paura per la nube tossica di Chernobyl (il significativo calo di nati a febbraio 1987 in relazione ai concepimenti di maggio 1986, ndr), anche in questa circostanza ci siano stati frequenti rinvii nelle scelte riproduttive».
Casa dolce casa
Speriamo dunque che quella del 2020 non sia una condizione destinata a continuare anche se sono diversi gli indicatori che meritano un ragionamento. Riflettono infatti, in modo rilevante, nuovi orientamenti nelle scelte e nei comportamenti della popolazione. Il primo è legato alla scarsa mobilità territoriale di individui e famiglie. I trasferimenti nel nostro Paese hanno subìto una certa diminuzione, come a dire che si fatica a lasciare la città d’origine, cosa pur comprensibile in un contesto di pandemia in cui, talvolta, sono finite smantellate le certezze per tante famiglie.
La diminuzione è stata del 17,4%, in particolare se si guarda al quinquennio 2015-2019. Scendono del 6% i movimenti interni – tra comuni – e addirittura del 42% e 12%, quelli da e per l’estero. Tiene giusto il Regno Unito che anzi segna una controtendenza (+62,8%), ma secondo l’Istat sarebbe giusto conseguenza delle regolarizzazioni dovute alla Brexit e dunque di persone che vivono nel Regno Unito già da tempo.
In calo anche i matrimoni
Ma il segno di un cambiamento tangibile nell’orientamento di noi italiani sta anche nella minore propensione verso il giorno del “sì”. Ed è probabile che – anche qui – ci sia stato l’effetto della pandemia a scoraggiare molti a fissare una data. Il rischio di contagi e il divieto assoluto di assembramenti hanno comprensibilmente tolto alle coppie e ai loro cari la prospettiva – almeno nell’immediato – della festa per le nozze.
Nel periodo gennaio-ottobre 2020, sono stati registrati circa 85 mila matrimoni, contro i 170 mila dei primi dieci mesi del 2019 e i 182 mila del 2018. In picchiata quelli religiosi che rappresentavano il 49,5% del totale delle unioni nei primi dieci mesi del 2019 (erano il 51,8% nello stesso periodo del 2018) e sono scesi al 30,3% nel 2020. Meno matrimoni soprattutto nel Mezzogiorno.
Rimane ora da capire se le poche nascite, gli scarsi trasferimenti e il crollo dei matrimoni siano semplicemente un rinvio. Visti da qua – da questo primo trimestre 2021, ancora in piena pandemia – è difficile da dirsi. Ma la speranza non è svanita.
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