La notizia ha ormai alcune settimane: l’Australia ha approvato la legge che obbliga lo stato a pianificare entro un anno il divieto di utilizzo dei social media ai minori di 16 anni. Proposta dal primo ministro Anthony Albanese, vuole rispondere alla crescente diffusione di materiali pornografici, deepfake e fenomeni di cyberbullismo in rete.
La norma che vieta l’utilizzo dei social media ai minori di 16 anni, certamente fa riferimento a un timore diffuso anche in Italia, dove oltre l’80% dei genitori si dice preoccupato per la sicurezza online dei propri figli. In particolare per il loro utilizzo senza remore dello smartphone.
Il sondaggio sulle ansie digitali
Un recente sondaggio dell’agenzia di comunicazione Hearts and Science, che indagava le ansie degli adulti verso le dipendenze digitali, ha rilevato che un terzo degli intervistati ha dovuto affrontare delle autentiche patologie subite dai minori a causa dell’uso compulsivo dei vari dispositivi. Del resto sono stati realizzati con questo fine e non possiamo meravigliarci – anzi ormai ci siamo abituati – nel vedere i nostri figli e nipoti “smanettare” sul cellulare a tavola, passeggiando per strada, in compagnia di amici, persino al cinema durante la proiezione di un film o guardando la tv, insensibili alla situazione e all’ambiente attorno.
Le nuove patologie
Troppe volte però si passa dall’abitudine alla vera e propria patologia, i cui sintomi più diffusi sono diversi. Si passa dal phubbing (da phone, “telefono”, e snubbing, “snobbare”), l’ignorare le persone in favore dello smartphone, alla digital addiction, che crea la necessità di avere il cellulare sempre in mano per controllare le notifiche. Dall’oversharing, l’ossessione di postare ogni momento della propria vita privata, al doomscrolling, lo scorrere compulsivo dei social alla ricerca di cattive notizie cui credere senza analisi critica, e persino alla cyberchondria, l’ossessione ipocondriaca di cercare in rete i sintomi delle malattie.
Perché si diventa dipendenti
Reagire a queste progressive e sempre più sregolate abitudini richiede uno sforzo, necessario per non sviluppare compulsione e dipendenza. Come scrive nella sua pagina di presentazione il movimento 36Months, che, raccogliendo oltre 127mila firma ha sollecitato il governo australiano ad agire con fermezza, «ogni notifica, like o commento innesca un rilascio di dopamina, creando un ciclo di ricompensa che mantiene gli adolescenti coinvolti e li fa tornare per averne di più. L’attesa di ricevere queste ricompense e il piacere che ne deriva possono rendere l’uso dei social media avvincente e difficile da resistere.»
Gli adolescenti e i social
I dati di numerose associazioni mostrano che gli adolescenti trascorrono in media 3 ore e mezza al giorno sui social. È quasi inevitabile con questa tempistica che vengano a contatto con contenuti che possono ledere il loro sviluppo e la loro autostima. E che i più sprovveduti vengano sollecitati verso spazi online di qualità inferiore, rimuovendo un importante mezzo di connessione sociale. Gli adulti sono anche preoccupati per sé stessi, soprattutto per la sicurezza e per le fake news. Il non saper distinguere il vero dal falso online è un timore diffuso non solo tra il quasi 40% di quelli che si definiscono “non esperti”, ma anche per circa il 20% degli adulti “esperti”, sempre secondo i dati elaborati da Hearts and Science.
Dialogare con i più giovani
Inoltre conoscono appieno la loro difficoltà nell’affrontare problemi che percepiscono, ma che non sanno come affrontare. Sono stati tuffati nel mondo digitale senza averne capiti i meccanismi e senza le istruzioni per affrontarlo al meglio. Si trovano a disagio non solo nell’educare figli a una partecipazione significativa e sana a quell’universo, ma anche nell’affrontare un semplice dialogo che lo riguardi. Tanto che solo il 9% degli intervistati da Hearts and Science ha vietato l’accesso a Internet ai figli.
Ciò non toglie che la tecnologia tenda a non farli più comunicare con loro, e non solo a tavola. Prima della chiusura totale dei rapporti è indispensabile imporre delle regole, non basta demandare – come fanno quasi tutti – il ruolo educativo nel settore alla scuola. Gli adulti devono recuperare la fiducia nella loro capacità di educare, nonostante la tecnologia abbia scombinato tutte le carte anche in ambito psicologico e formativo.
L’epidemia di malattie mentali
Devono sapere– scrive ancora 36Months nelle petizioni presentate nel Regno Unito, in Nuova Zelanda e in Giappone per indurre questi stati a seguire l’esempio australiano – che «l’uso eccessivo dei social media sta riprogrammando i cervelli dei giovani durante una finestra critica dello sviluppo psicologico (i “36 mesi” tra i 13 e 16 anni, ndr.), causando un’epidemia di malattie mentali. È stato collegato a problemi di salute mentale, cyberbullismo, ansia, depressione, disturbi alimentari, autolesionismo e persino suicidio nei giovani.» E devono attivarsi insieme a insegnanti e allenatori per evitare ai loro figli e nipoti questo utilizzo smodato, o quanto meno per diminuirlo e renderlo il più possibile “sano”.
foto di Primakov / Shutterstock.com
TUTTE LE NOTIZIE SU TECNOLOGIA
© Riproduzione riservata