La cyber-violenza colpisce soprattutto le donne e spesso finisce col collegarsi con quella offline. Oggi viene riconosciuta difficilmente e affrontata in modo ancor meno efficace.
È quella che si potrebbe definire la dimensione digitale della violenza: la cyber-violenza è un fenomeno in aumento e le vittime sono soprattutto donne. È quanto emerge da una ricerca del Parlamento europeo condotta nel 2021, che confermerebbe che sono soprattutto uomini coloro che commettono tale tipo di abusi. Oltre ad essere “virtuale” però è strettamente legata a quella “reale”, ne rappresenta anzi il continuum con strumenti diversi, come dimostrerebbe un’indagine del 2017 dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere secondo cui il 70% delle vittime di cyber-stalking ha anche subito una o più forme di violenza fisica o sessuale.
Cosa sono la cyber-violenza e il cyber-stalking
La cyber-violenza può avvenire online o attraverso dispositivi tecnologici. Molestare, rubare l’identità digitale, creare falsi profili, hackerare account, diffondere senza consenso immagini private, pubblicare informazioni personali di altre persone, incitare all’odio, limitare l’accesso agli strumenti digitali sono solo alcune delle modalità più diffuse.
Il cyber-stalking, dal canto suo, consiste nell’ampliamento dei comportamenti delittuosi dello stalking attraverso le tecnologie. Minacce, offese tramite e-mail, pubblicazione di commenti inadatti su Internet o sui social, così come la condivisione di fotografie o video intimi, sono alcuni esempi di cyber-stalking. Ma anche accedere abusivamente, senza permesso, ad un account o impiegare “stalkerware”, cioè software che permettono di spiare la vita privata di qualcuno, sono riconducibili a questo tipo di reato.
Non è solo una violenza “virtuale”
Sarà pure virtuale, ma questo tipo di violenza produce danni concreti sulla vita di chi la subisce. Oltre a peggiorare le disuguaglianze di genere, ne risentono innanzitutto la salute e il benessere psico-fisico della persona. La cyber-violenza può generare problemi di salute mentale, come depressione e stress, ma anche attacchi di panico, ridurre l’autostima, fino ad innescare sindromi da stress post-traumatico, paura e persino autolesionismo. Ma le conseguenze – individuali o sociali che siano – hanno delle ricadute economiche importanti: secondo uno studio dell’EPRS, il Servizio Ricerca del Parlamento Europeo, i costi oscillano da un minimo di 49 miliardi di euro fino a oltre 89 miliardi. Sono cifre enormi che finiscono col comprendere, tra le altre cose, anche le spese legali e sanitarie.
Non abbiamo dati a sufficienza per misurare la cyber-violenza
Purtroppo, a causa di una ridotta disponibilità di dati non possiamo quantificare il fenomeno della cyber-violenza. La Coalition against Stalkerware – Coalizione contro gli stalkerware, un gruppo internazionale – sostiene che ogni anno sono circa 1 milione le persone che subiscono cyber-violenza nel mondo. Ugualmente uno studio del 2021 dell’EPRS ha stimato che una percentuale di donne compresa tra il 4 e il 7% nell’Unione abbia subito molestie online nei 12 mesi che hanno preceduto tale valutazione.
Anche nel nostro Paese i dati Istat sulla cyber-violenza sono pochi e parziali. Riguardano solo le denunce fatte nel 2019 e nel 2020 per la diffusione di immagini o video. Le denunce, tra l’altro, vengono presentate con una certa difficoltà soprattutto dalle donne. La paura delle conseguenze, il timore di non essere credute, la vergogna e l’imbarazzo, ma anche la scarsa fiducia nei confronti delle forze dell’ordine sono la causa principale di tale difficoltà.
Serve una definizione comune di cyber-violenza per affrontarla
Non c’è oggi una definizione comune sulla cyber-violenza nell’Unione Europea. Alcuni Stati Membri hanno leggi che la riconoscono come reato in alcune forme, ma sussistono notevoli differenze a livello di tutela tra Paese e Paese. Infine, manca la consapevolezza del fenomeno, così come una adeguata formazione di coloro che sono coinvolti nella prevenzione. Manca una “cultura” del reato, si denuncia poco e non ci sono informazioni sui mezzi a disposizione per cercare aiuto. Nel frattempo, però, in Italia è stata avviata la prima campagna di formazione. Si tratta di DeStalk, un progetto europeo sostenuto dal programma della Commissione europea per la promozione dei diritti civili. Qualcosa si muove, quindi.
© Riproduzione riservata