Lo scorso 25 febbraio Adrian Dix, ministro della Salute in Canada, ha annunciato che a partire dal 2021 il governo non erogherà più la cifra di 1,5 milioni di dollari alla Delta Hospice Society nella Columbia Britannica. Una decisione che comporterà la chiusura di una struttura ad essa collegata, l’Irene Thomas Hospice, che fornisce cure palliative.
Il motivo di tale scelta? La revoca del finanziamento all’hospice è giunta a seguito del rifiuto da parte della struttura di praticare l’eutanasia. La provincia della Columbia Britannica, infatti, prevede l’obbligo di garantirla in tutte quelle strutture finanziate per oltre il 50% dal servizio sanitario nazionale. Dal canto suo, la responsabile della struttura, Angelina Ireland, ha protestato evidenziando che «per il governo è più facile ed economico erogare l’eutanasia che fornire ai pazienti le cure palliative. In pratica, stanno dicendo che nessun hospice ha diritto di esistere nella Columbia Britannica fino a quando non fornirà l’eutanasia».
Quello dell’eutanasia e delle cure palliative è un tema che continua ad avere sviluppi, anche in Europa dove di recente la Corte Costituzionale tedesca ha emesso una sentenza il 26 febbraio scorso. Il principio affermato nella pronuncia è che appartiene ai diritti fondamentali della persona la decisione, in piena autonomia e senza limitazione alcuna, sulla propria vita. Il diritto di suicidarsi, pertanto, non può essere circoscritto al diritto di rifiutare trattamenti di sostegno vitale né all’esistenza di specifiche condizioni di salute del soggetto richiedente (ad esempio patologie serie o incurabili). Da ciò discende che non si possono criminalizzare – in base all’art. 217 del Codice Penale tedesco – le condotte seguite da società svizzere e tedesche di aiuto al suicidio. Sono queste ultime che hanno sollevato la questione di costituzionalità.
In Belgio la “buona morte” è stata approvata nel 2002. Gli ultimi dati della Commissione Federale per il controllo e la valutazione dell’eutanasia evidenziano che, fra il 2018 e il 2019, i casi hanno avuto un incremento del 12.5%, passando da 2.357 a 2.655. Ma studi pubblicati sul Lancet e British Medical Journal affermerebbero che, in realtà, le eutanasie effettivamente somministrate sono almeno il doppio.
Fin qui il dato quantitativo. Tuttavia, l’analisi dei motivi che hanno spinto queste persone a chiedere di morire sono più importanti e dovrebbero essere approfondite sotto il profilo etico.
Negli ultimi tempi, infatti, sono aumentate le richieste da parte di malati non terminali che sono il 17.3% sul totale (448 persone su 2.655). Si tratta di soggetti con pluripatologie, per i quali il fine vita non era atteso a settimane e neppure a mesi. Un altro 62.5% delle richieste di eutanasia è venuto da malati oncologici. E le altre? Il rapporto registra un dato che fa pensare: nel 2019 hanno ricevuto l’eutanasia 50 persone che soffrivano di disturbi mentali e comportamentali (malattie psichiatriche come il disturbo della personalità o invalidanti sul piano cognitivo come l’Alzheimer). E sempre i dati ufficiali della Commissione belga ci dicono che, in media, gli over 70 rappresentano il 67.8% dei pazienti eutanasizzati, e che è in costante aumento il numero di eutanasie eseguite nelle case di cura: è qui che sono avvenuti il 15.9% dei decessi (43.8% in casa, 38.2% in ospedale).
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