La normalità in tempo di pandemia ha stravolto la quotidianità delle nostre azioni, ma anche il mondo delle nostre informazioni e conversazioni. E, se un anno fa non si parlava altro che di tamponi e test, in questi ultimi mesi si sta discutendo senza sosta di vaccini, nei numeri, nel metodo e nel merito.
Nei numeri. La campagna italiana di vaccinazione per settimane è proceduta a rilento: a fine marzo meno di nove milioni di persone avevano ricevuto almeno una dose di vaccino e, a livello nazionale, la percentuale di vaccinati over 80 si aggirava ancora intorno al 60% con una notevole variabilità regionale.
Nel metodo. Vaccinare un Paese è organizzazione che richiede rigore e precisione militare, non per niente l’incarico di Commissario Straordinario è stato affidato al Generale Francesco Paolo Figliuolo.
Confcommercio ha cercato di dare il proprio contributo, sottoscrivendo un Protocollo per la realizzazione dei piani vaccinali nei luoghi di lavoro, coinvolgendo le associazioni datoriali e le esperienze della bilateralità. Un passo importante, che rischia nondimeno di rimanere su carta senza reperibilità e diffusione dei vaccini. Se quella contro il virus è una guerra, è evidente che le battaglie sono più complicate del previsto: assestarsi sul ritmo di 500mila somministrazioni al giorno non appare cosa banale. E le differenze tra Regioni, gli intoppi e le incertezze rivelano tutta la difficoltà che la questione comporta.
D’altra parte, molto si è parlato anche di merito: da chi vaccinare a quale vaccino utilizzare sono temi di ordinaria conversazione privata e discussione pubblica. Il Piano strategico nazionale per la vaccinazione anti Covid-19 ha individuato come categorie prioritarie della prima fase della campagna vaccinale – oltre agli operatori di professioni a stretto contatto con il pubblico a rischio, come quelle sanitarie – le persone più anziane e, in generale, quelle più fragili. Il criterio anagrafico, quindi, ha avuto certamente una priorità rilevante nel cominciare a somministrare i vaccini. E, certamente, questo è accaduto per una questione umanitaria: è infatti acclarato che l’età costituisca fattore direttamente proporzionale alla letalità del virus, dal momento che l’età media dei morti positivi a SARS-CoV-2 è di 81 anni.
Tornare ad essere liberi di uscire, consumare, viaggiare è infatti un tema individuale per la terza età, ma ha un impatto non trascurabile sulle famiglie e sulle comunità. Di vaccini, insomma, si parla tanto, ma un fatto rimane: vaccinare gli anziani è un dovere sociale, ma è anche un’opportunità per il Paese.
Foto: MikeDotta / Shutterstock.com
© Riproduzione riservata